USA, il fascino dell’ovest

Viaggio fra gli spettacoli naturali del mitico West

“Io nacqui dove il vento soffiava
Liberamente e dove non c’era nulla
A bloccare la luce del sole.
Io nacqui dove non c’erano recinti
E dove ogni cosa respirava liberamente.
E non dentro queste mura.”
Dieci orsi
Las vegas
dall’Italia con gianna e lucy parto in volo direttamente a Las vegas, la megalopoli del gioco in pieno deserto del Nevada. All’arrivo ritiriamo subito l’auto noleggiata dall’italia e ci immergiamo nel traffico di las vegas direzione hotel luxor.
Gli alberghi sono enormi, incredibili interpretazioni del mondo antico o copia di splendide città, offrono al visitatore spettacoli e intrattenimenti di ogni tipo, a condizione di giocare;
giocare e perdere, perdere dollaro su dollaro, monetina su monetina.
Non è una città come le altre, è una concentrazione di casino, di locali aperti 24 ore su 24, dove tutto è falso, finzione, fuorchè il gioco.
Gioco, finzione, vizio, sono gli ingredienti unici e tipici di questa capitale edonista d’america.
E’ il rovescio della medaglia dell’america puritana, è l’esaltazione parossistica di tutto l’illecito, ma talmente kitch da lasciare senza parole.
Visitiamo il cesar palace, uno dei casino più belli e famosi di lag vegas.
È incredibile… il suo interno è una copia dell’antica roma, con templi, palazzi, l’antico foro, e ciliegina sulla torta, non possono mancare gli dei.. da apollo a diana, fino al grande giove, ruotano intorno alla sala su un enorme piedistallo, mentre giove, lancia i suoi fulmini tuoni e saette.
La notte l’incredibile luminaria accende il deserto sterminato ed assoluto.
Ci perdiamo tra le sue strade veramente illuminate a giorno e percorriamo la strip, nel’incredibile carosello di luci ed insegne colorate e dentro i suoi casinò.

Grand canyon
La mattina dopo lasciamo le luci di las vegas e puntiamo in direzione grand canyon dove
Arriviamo prima del tramonto, giusto in tempo per effettuare un volo panoramico in elicottero.
ci fermiamo dove c’è l’aeroporto da cui partono i voli in elicottero e aereo sopra il canyon.
La prima vista del Gran Canyon avviene proprio dall’alto, emozione nell’emozione. Ciò che è sotto ai nostri occhi è qualcosa di incredibile, che nessun racconto né foto può descrivere. Non sarà un caso se qualcuno lo ha definito “il più grande tempio di Dio sulla terra.”
Il grand canyon è talmente vasto che nemmeno dall’alto si riesce a contemplarlo con lo sguardo in tutta la sua grandezza.
incantate da questo paesaggio Dopo un’ora di volo, scendiamo a terra e proseguiamo per il south rym.
Il g.c. è il più famoso dei parchi dell’ovest con scenari naturali tra i più spettacolari.
Ci caliamo nella magia del g.c. ne cogliamo la grandiosità percorrendo il south rim, in lungo e in largo ammirando i suoi splendidi panorami.
Affacciandoci su questa straordinaria terrazza naturale, vediamo il colorado scorrere sinuoso a più di 1000 mt. Sotto di noi, e osserviamo stupite tutte le stratificazioni che si sovrappongono all’infinito, raccontando la storia della nostra terra.
Godiamo di questo spettacolo unico al mondo in tutti i momenti della giornata aggirandoci lungo l’abisso sterminato.
Quest’opera gigantesca della natura, una delle 7 meraviglie del mondo, è il simbolo dell’arizona, formato dalla lenta e tenace opera del fiume colorado che in millenni di storia geologica ha creato la più grande frattura della superficie terrestre, lunga più di 450 km. E profonda oltre 1 km. E ½.

Nevada, arizona, utah, colorado e new mexico, saranno le tappe di questo nostro viaggio.
Un itinerario per capire l’america, vedere le cose più belle, per visitare luoghi che meritano molto di più di una semplice occhiata.
Il gusto della (aig)high sierra del back country, di paesaggi desertici pieni di colore, discese nelle gole dei fiumi e notti nei villaggi indiani.
Ogni parco, ogni villaggio, in cui decideremo di fermarci, sarà per noi un obiettivo, avrà uno scopo e non ripartiremo senza averlo capito.
La differenza tra il vedere ed il vivere questi spettacoli della natura, lascia il segno nei racconti, nella conoscenza e nei ricordi personali di chi l’ha vissuto.
Nel tardo pomeriggio il tempo si fa brutto, ma al tramonto il sole torna a splendere e mentre da un lato nel cielo cupo, ammiriamo tra i lampi un superbo arcobaleno, dall’altra parte il sole infiamma le rocce policrome.
Un grandioso finale per questo splendido grand canyon.

Page e dintorni
La mattina dopo, con una punta di malinconia lasciamo il g.c. e attraversiamo l’arizona penetrando finalmente nel cuore della riserva navajo.
La nostra destinazione è Page sul lago Powell, formatosi con la costruzione della grande diga di Glen.
Da qui partiamo alla scoperta dei luoghi più nascosti del lago.
Navighiamo in direzione rainbow bridge un luogo sacro agli indiani navajo.
Intorno un paesaggio meraviglioso con rocce rosse a strapiombo nel lago e pinnacoli.
Durante la navigazione ci rilassiamo tra un balletto e un massaggino
Poi improvvisamente Il tempo cambia e dai tuoni si passa ad un violento temporale.
Intorno a noi dai picchi che emergono dal lago scendono numerose cascatelle.
Qui la terra è così arida che basta una forte pioggia per creare impetuosi torrenti e improvvise inondazioni.
Procediamo nel lago coi suoi numerosi tentacoli che penetrano nella terra formando calette e canyon secondari. Da uno di questi si accede al rainbow bridge.
Con la barca attracchiamo ad un piccolo molo e camminiamo per alcune centinaia di metri.
Improvvisamente ci troviamo di fronte il rainbow bridge, un gigantesco arco di pietra rosa ocra alto 83 mt. e posto in fondo ad un canyon.
L’arco deve il suo nome alla forma simile ad un ponte primitivo o a un arcobaleno.
Il luogo, carico di leggende e spiritualità è sacro agli indiani navajo.
Se esiste un popolo che noi europei pensiamo di conoscere senza in realtà saperne molto è sicuramente quello degli indiani d’america.
Già definirlo popolo è un errore, non si tratta di un popolo, ma di tantissimi popoli ognuno con la sua storia, le sue caratteristiche e la sua organizzazione sociale.
I nativi americani parlavano all’arrivo dei bianchi oltre 2200 lingue nell’emisfero settentrionale, senza contare quelle del nord america, del messico e dell’america centrale.
È ora di rientrare. Il battello deve ripartire
Al ritorno una striscia infuocata si staglia all’orizzonte.
E’ ciò che rimane del giorno appena trascorso.
Rientramo a page al tramonto, giusto in tempo per assistere nella piazza del paese ad uno spettacolo di alcuni ragazzi indiani che intonano i loro canti al suono di tamburi.
Toccare con mano i simboli di questi paesi, lascia traboccare le passioni e fa vivere intense emozioni.
Finiamo la giornata in bellezza, in un locale tipico, dove ci gustiamo una stupenda 16 once al suono di musica country. Che dire?’ come canta vasco rossi è stata una magnifica giornata

Antelope canyon
Il giorno dopo si parte per il più bel canyon della zona.
La visita di antelope canyon non si può assolutamente perdere.
Questa magnifica gola, larga 2 mt. e lunga 200 si trova in territorio indiano pochi km. Fuori la cittadina di Page.
Simile a un violento colpo di sciabola su un altopiano di arenaria, il canyon, all’interno presenta pareti color ocra che evocano l’immagine di tele agitate dal vento, di strane onde.
“cammino nella bellezza, l’ho di fronte, dietro e sopra di me”
Così una vecchia nenia navajo svela il segreto della maestosità di questo spazi sconfinati, imbrigliati a fatica dalla luce dell’orizzonte, per spiegare il fascino selvaggio dell’america, fatto di rocce lastricate e di canyon scolpiti da rughe secolari.
Scoprire luoghi magici come questo, raggiungendo mete lontane e uniche ci fa sentire speciali.
A mezzogiorno questo luogo acquista una straordinaria tonalità arancione e uno splendido fascio di luce penetra nel canyon creando un’immagine unica e indescrivibile.

Diga di glen e colorado river
Lasciamo il tunnel scavato nella roccia per raggiungere il molo sul fiume colorado posto direttamene sotto l’enorme diga di glen.
Da qui si parte per una gita in barca in un paesaggio con grandi contrasti di colore, il blu intenso dell’acqua e del cielo e pareti di roccia rossa, lasciandoci pigramente trasportare dalla corrente fino a dove iniziano le rapide del fiume.

Betatakin
Lasciamo il lago Powell coi suoi splendidi colori direzione monument valley.
prima del villaggio di kayenta, facciamo una deviazione al navajo National monument, per ammirare le grandi abitazioni su roccia, conservate in un paesaggio veramente surreale.
All’arrivo il ranger navajo ci spiega: “non vengono in molti a vedere queste città. Bisogna camminare e per molti è troppo faticoso”.. e’ vero.
Immaginate un panorama suggestivo e l’incontro con un antico popolo, nel silenzio di grandi spazi.
Finalmente appare betatakin, incorniciata da un’altissima volta di arenaria che crea una scenografia spettacolare.
L’abitato è disposto ad anfiteatro, ha lo stesso colore della roccia dov’è incastonato e a distanza lo si riconosce solo per la fitta geometria disegnata dai tetti e dalle torri a più piani.
Sembra quasi un miraggio.
Questo e moltri altri luoghi sono stati dichiarati monumenti nazionali al fine di preservare il gran numero di belle torri e villaggi edificati dagli indiani anasazi o antichi pueblo come vengono chiamati dai loro discendenti, gli zuni e gli hopi, e riportati alla luce solo in minima parte.

Kayenta
Riprendiamo il viaggio e Arrivate a kayenta, superiamo la monument valley e puntiamo verso mexican hut nello utah.
Mexican hut, il sombrero di arenaria da cui l’insediamento prende il nome, si specchia nel s.jaun river.
Stiamo attraversando territori immensi, un ambiente naturale intatto, spettacolari formazioni rocciose, deserti dominati da luci e colori di incredibile fascino, strette gole, fiumi trasparenti e ampie vallate.
torniamo che ormai è buio, siamo immerse nel buio della notte illuminata solamente dal brillio naturale della luna piena e dai fari delle auto. Scendiamo dall’auto, ogni scusa è buona per ballare e niente ispira quanto la luna piena.

Monument e mistery valley
La mattina dopo, proseguiamo per un’altra avventura entrando all’interno della depressione argillosa della monument valley.
La monument valley non ha bisogno di parole, è un sogno che si apre davanti ai nostri occhi;
c’è qualcosa di magico nei colori del cielo, nella forma delle montagne, nelle rocce scolpite dal vento che la natura ha trasformato in strane figure divenute parte di leggende fantasiose e affascinanti delle tribù navajo che la abitano.
L’indiano navajo che ci accompagna insiste per fotografarci sotto i picchi che secondo lui sono il nostro simbolo le 3 sorelle.
I navajo sono una popolazione sedentaria che vive in capanne di tronchi chiamate hogan, coltivano la terra e praticano la pastorizia.
Percorrendo le strade all’interno ci si sente sopraffatti dai cumuli scolpiti, dai grandi archi che si stagliano nel cielo azzurro, dagli enormi monoliti di arenaria che rossi come il fuoco ci narrano con la loro semplice presenza la storia di tante trasformazioni subite dalla terra.
E qui tra queste rocce e pinnacoli, praterie e deserti sconfinati, che è nato il mito del west.
Il nostro accompagnatore indiano ci fa sdraiare sotto un grande arco e ci spiega come qui venivano a pregare il grande spirito
Chiudiamo gli occhi e vediamo avvicinarsi un’orda di indiani urlanti e seminudi a cavallo col corpo e il viso dipinti coi colori di guerra i lunghi capelli al vento adorni di piume che rincorrono al galoppo la nostra diligenza
Ma è solo un sogno, o la trama di un film- riapriamo gli occhi e accanto a noi c’è il vecchio indiano che ci racconta la storia del suo popolo.
Gli indiani quelli dei film , coi lunghi capelli e cavalli selvaggi oggi non esistono più.
All’interno di questa valle le cattedrali di roccia rossa, le guglie, il deserto e persino la polvere non paiono reali.
Sembrano una scenografia per film western. E lo sono infatti!
In questo punto il regista john ford fece la sua prima inquadratura western.
Lasciata la monument valley, ci rechiamo dietro le quinte, un po’ più a sud, nell’adiacente mistery valley, meno spettacolare, ma dove ci sono straordinarie rovine degli antichi anasazi.
Questo popolo proveniva dal nord del messico e si insediò nell’enorme estensione del grand canyon fino alle grandi pianure, nei territori che ora vengono definiti four corner.
Un popolo che nel corso di molti secoli costruì centinaia di villaggi e vere città in muratura ancora oggi visibili nei canyon e sulle mesas di questi altopiani.
Gli anasazi, sono gli indiani pueblo dell’epoca precolombiana, appartenenti ad un ramo di quelli residenti a mesa verde, e scomparsi nel 1300.
Ma chi erano veramente gli indiani d’america e da dove arrivarono?
Si dice che giunsero dall’asia oltre 20.000 anni fa, piccole bande di cacciatori che inseguivano la selvaggina attraverso la tundra siberiana, muovendosi verso est in direzione del sole nascente.
Passarono attraverso l’attuale stretto di bering, allora una sottile lingua di terra libera dai ghiacci che univa la siberia all’alaska.
Si spinsero poi a sud e ad est verso il cuore del nord america. Vivevano in caverne e cacciavano animali
Man mano che le condizioni climatiche si modificavano così pure cambiavano le abitudini di questi primi abitanti.
Venne sviluppata l’agricoltura; la tecnica di caccia si raffinò a tal punto, che alcune strategie nate allora per questo scopo, vennero utilizzate con successo secoli più tardi nella guerra contro l’uomo bianco.
I navajo sono persone molto gentili ed ospitali.
Alla fine di questa straordinaria giornata la nostra guida ci porta nella sua casa e ci invita a visitare il suo hogan.
Gli hogan hanno l’ingresso sempre rivolto verso il sole nascente simbolo della vita.
Un invito nella propria casa, rappresenta per loro un segno di considerazione e rispetto.,

Hopi
Riprendiamo il nostro percorso. Entriamo con rispetto nel paese degli indiani hopi per visitare i loro tipici villaggi arroccati su mese strapiombanti.
Nella riserva degli indiani hopi, sembra di essere in una ragnatela di divieti.
Non si può fare quasi nulla. Non si può fotografare, né disegnare, o camminare dove si vuole. E’ vietato quasi tutto.
Di nascosto, rubiamo alcune immagini di walpi, il più antico e bel villaggio tra queste mesas, poi saliamo a visitarlo.
Lasciata l’auto e la videocamera davanti al visitor center, la donna hopi che ci fa da guida, ci accompagna fra casette dissestate, tetti di lamiera e strade polverose.
Siamo di fronte alla rocca di walpi, “ma oltre questo punto non possiamo andare” avverte decisa la guida; “quelle case al limite della mesa sono abitate da quasi 1000 anni e ci vivono ancora 5 famiglie”
Deluse visitiamo la bottega del più famoso artista hopi. Da lui acquistiamo le famose bambole kachina e vasetti pregiati che produce per il museo
Poi proseguiamo il giro tra le mesas su cui aleggiano gli spiriti degli antichi avi della tribù hopi, che tuttora cela gelosamente le proprie tradizioni.
Route 66 e dintorni
Scendiamo ancora più a sud per incontrare la famosa route 66 la più famosa strada d’america
Visitiamo il meteo crater, profondo avallamento causato dall’esplosione di un meteorite precipitato sulla terra 22.000 anni fa.
Questo luogo fu la palestra di allenamento per i primi astronauti che sbarcarono sulla luna.
Ripresa la leggendaria route 66 proseguiamo il nostro giro in arizona fino al deserto dipinto.
All’interno del visitor center c’è aria di festa. Oggi compie 100 anni questa splendida signora adorna di gioielli najavo. Ci complimentiamo con lei per la sua splendida forma, poi dal terrazzo ammiriamo stupite i paesaggi lunari del deserto dipinto e i suoi splendidi colori.
Da qui proseguiamo per la foresta pietrificata.
Questo inconsueto parco si trova ai bordi della riserva zuni.
Come dice il suo nome, è propriamente una foresta pietrificata, 225 milioni di anni fa, i tronchi di alberi caduti e trasportati a valle dai fiumi, vennero progressivamente ricoperti di fango e ceneri vulcaniche.
Iniziò quindi un procedimento che rallentò la decomposizione del legno e iniziò un lungo processo di calcificazione che trasformò i tronchi di legno in veri e propri tronchi di pietra.
Qui si trova la più alta concentrazione di legno pietrificato mai rinvenuto prima.
Quelli che oggi vediamo sparsi sul terreno, sono alberi di quarzo, diaspro e agata, dalle tonalità brillanti, rosse, gialle, arancioni, porpora, marroni, nere e azzurre.
Torniamo al tramonto. nella foresta pietrificata anche il cielo ha il colore dei suoi tronchi.

Canyon de chelly
Puntiamo diritte verso chinle, per arrivare nel cuore della riserva navajo il canyon de scè, tuttora abitato da queste tribù.
Alcuni di loro accolgono volentieri i visitatori, altri vedono nell’apertura al turismo una minaccia all’integrità delle comunità indiane, uno svilimento delle culture tradizionali, ridotte a mero oggetto di curiosità. Ciò li rende molto diffidenti e riservati. Con noi sono tutti molto cordiali e parlano volentieri ci chiedono dell’italia.
Dicono che da queste parti passano pochi italiani, e in più, tre sorelle come noi ci dichiariamo, a loro risulta una cosa piuttosto insolita.
Ci guardano come fossimo noi l’attrazione turistica
L’indiano, un pueblo di taos, sposato ad una donna navajo, racconta la storia dei loro popoli e le loro usanze.,
ci dice che nel corso della storia i diritti degli abitanti originari che per primi abitarono queste terre sono stati sempre più limitati.
La lotta per la terra, portò ad un vero e proprio genocidio delle varie tribù.
“i bianchi” racconta, “condussero una grande guerra contro gli indiani che furono sconfitti e dovettero sottoscrivere accordi che confinarono la loro vita nelle riserve.
Le figlie ci mostrano una tipica danza navajo,
le ragazze sono molto belle, indossano splendidi gioielli e costumi vivaci.
La mattina seguente il canyon de scè ci aspetta. Si tratta di uno spettacolare labirinto composto da più canyon.
Il canyon de scè è un ambiente naturale di straordinaria bellezza, tra rocce strapiombanti, enormi caverne in cui gli indiani anasazi costruirono le loro abitazioni.
All’interno ripide e lisce pareti rosse e nere formano insieme al canyon del muerto due spettacolari gole ricche di storia dei nativi americani.
Si tratta di un luogo singolare, interessante sia per l’aspetto geologico che archeologico dal momento che l’area fu sede della cultura anasazi, ma è ricordato soprattutto per due massacri perpetrati ai danni degli indiani navajo.
Il primo dagli spagnoli e il secondo dal generale kit carson.
Questa terra quasi mistica dove si insediarono gli indiani anasazi quasi 2000 anni fa è una vera meraviglia della natura.
Le loro magnifiche abitazioni tra le rocce, costruite con mattoni cotti al sole e schiacciate come nidi d’aquila tra le fenditure delle pareti di canyon slanciati, sono una delle più affascinanti attrazioni di questi luoghi.
Percorriamo il canyon del muerto dove si trovano diversi insiediamenti anasazi situati alla base delle imponenti pareti do roccia.,
percorrere questo canyon è come entrare in una mostra a cielo aperto ricca di graffiti e di antiche rovine.
Siamo arrivati in fondo al canyon del muerto. Dinnanzi ai nostri occhi appaiono le splendide rovine di mummy cave, le più belle di tutto il canyon.
Le scale incise nella roccia servivano per salire fin lassù in quella città di luna inventata dagli anasazi.
Ma neanche tanta bellezza riesce ad ammutolirci, al contrario, ci sfa sentire forte la necessità di esprimere tutta la nostra gioia. E così le 3 sister famoso trio di ballerine fuori tempo e cantanti stonate, improvvisa una penosa esibizione in stile anni 60.
Riprendiamo il cammino. La guida navajo racconta, ma quasi sorvola su uno dei capitoli più tragici della storia del suo popolo che ebbe come teatro proprio il canyon del muerto.
Era il 1864 e i navajo attaccati dalle truppe americane guidate da kit carson cercarono di resistere rifugiandosi in questo canyo, ma fu una resistenza inutile.
Carson blocco il canyon e perpetrò un vero massacro.
Riuscì a catturare vivi 8000 navajo, che con una terribile marcia di 500 km. Vennero deportati nel new messico dove in 4 anni di prigionia ne morirono la metà.
A quel punto il governo usa decise di riportare indietro i superstiti nella speranza di farsi perdonare lo sterminio e concesse loro una riserva molto vasta.
Nonostante ciò, questa resta una delle più brutte pagine della storia americana …. impossibile da dimenticare.
Oggi che i navajo sono tornati a casa, raggi ungere il cuore della loro nazione, significa attraversare un bel po’ di terra loro.
Ed è un viaggio che sembra un’iniziazione, risalire in questo mondo di roccia, tra recinti di cavalli solitudine di nuovi e antichi hogan.
Proseguiamo nel ramo del canyon de scè, tra le sue impressionanti pareti di arenaria rossa e improvvisamente ci troviamo di fronte le guglie arditissime del mitico spyder rock un obelisco naturale alto un centinaio di metri reso famoso dal film “l’oro dei mekennah”
La strada si infila nel canyon tagliato dalla luce del tramonto; i roccioni sono accesi, rossi come la pelle di quelli che la abitano.
Si segue la scaglia del sole, la scia luminosa, ed ecco l’ombra leggendaria di spider rock, il monolite, che sta a guardia del canyon de scè, il luogo sacro alle genti navajo.
Tutte le colline desertiche, le grotte nella roccia e le mesas di queste zone sono considerate sacre.
Un viaggio nelle riserve indiane è diverso da un viaggio in qualsiasi parte degli stati uniti.
La tormentata storia dei rapporti tra bianchi ed indiani non è ancora un ricordo e gli antichi contrasti sono ancora molto vivi.
I lunghi anni si oppressione e sfruttamento non sono passati senza lasciare traccia
Lasciamo spider rock tra il bagliore del cielo rosso del tramonto insieme ad un piccolo angolo del nostro cuore.

Four corner e mesa verde
All’alba partiamo per i four corner, dove per la gioia dei turisti, le linee di con fini di 4 stati disegnano una croce su una piattaforma di cemento imbandierata a festa.
Qui saltelliamo dall’arizona al new messico, dallo utah al colorado e poi riprendiamo il viaggio.
Ora siamo nello stato del colorado e puntiamo su mesa verde.
La macchia di pini e ginestre nasconde fino all’ultimo il grande canyon che spacca la mesa verde come una ferita.
Solo quando si arriva al bordo del plateau e si vedono gli edifici incassati nella parete opposta del canyon si capisce la singolarità di questi abitati.
I campi erano sopra la mesa, e i villaggi qualche decisa di mt. Più in basso, attaccati alla parete di roccia come nidi di rondine sotto la grondaia.
Si raggiunge cliff palace scendendo lungo un sentierino che porta alla base dell’abitato, qui gli anasazi vissero per oltre 1000 anni.
Ma verso il 1300 dovettero abbandonare mesa verde e tutte le altre città a seguito di anni di siccità.
E fu la fine di questo popolo.
Dopo molti secoli di oblio finalmente nel 1888 il cowboy Richard wetherill si affacciò sul bordo di mesa verde e vide nascosto sotto il precipizio, cliff palace, una delle più spettacolari città fantasma degli anasazi.
Da allora sono stati scoperti diverse migliaia di abitati. Oggi questa località rappresenta la più estesa area archeologica degli stati uniti, che conserva il maggior numero di torri mai rinvenute.
Da lontano l’imponenza dell’arco roccioso lungo quasi 1000 mt. Fa sembrare l’abitato un paese in miniatura ma camminando fra gli edifici ci si accorge che alcuni raggiungono i 5 piani e che l’intero complesso è formato da 200 stanze e 23 kiva.
A visita finita si risale sulla mesa utilizzando una scaletta a pioli sistemata in una fessura tra le rocce, proprio come facevano gli anasazi.

Durango
Lasciata mesa verde ci dirigiamo a durango. Arriviamo al tramonto.
In questa cittadina che ripropone il vecchio west, i cowboy hanno sostituito i cavalli con le mitiche e potenti harley Davidson.
Questa cittadina, durante la febbre dell’oro serviva come stazione di carico per la città mineraria di silverton.
La ferrovia a scartamento ridotto esiste ancora ma al posto dei metalli preziosi trasporta i turisti su e giù per le 2 città.
Visitiamo il museo. Il pezzo forte è il lussuoso vagone rosso con gli interni tappezzati di velluto. Vi viaggiò il presidente taff.
Terminiamo la serata in un locale da ballo con ottima musica dal vivo
Lasciata durango, ci dirigiamo a mancos attraverso un tipico paesaggio del colorado fra verdi vallate con allevamenti di bovini e campi di foraggiom, abitazioni che risalgono al secolo scorso, e , sullo sfondo le cime innevate delle montagne rocciose.,
arriviamo in un ranch che mostra un’insegna della diligenza.
Ci fermiamo con la speranza di fare un giro in diligenza, ma ci aspetta una grande delusione.
Alla nostra richiesta il cowboy ci risponde “no! Rientro ora e sono troppo stanco”

Chaco canyon
Ed allora via, verso il chaco, nel deserto del new mexico.
In uno splendido tramonto arriviamo a farmington dove passiamo la serata, tra harley Davidson e biliardini.
Vale la pena di affrontare la strada lunga e sassosa che conduce alle rovine del chaco canyon.
Pueblo bonito è la più grande città precolombiana del nord america.
Al visitor center ci dicono che sianmo i primi italiani che vedono da queste parti.
Pensiamo sia un vero peccato. Ma qui di visitatori ne passano davvero pochissimi.
Oltre a noi non si vede nessuno tra le rovine di questo canyon.
Pueblo bonito è appoggiata sul fondo polveroso del canyon a ridosso della parete di arenaria.
Non somiglia a nessuna delle città che abbiamo visitato finora. È unica e grandiosa.
Si tratta di una grande città orizzontale con la pianta a “D”, un edificio unico nel suo genere, con 800 stanze che raggiungono i 5 piani collegate l’una all’altra e con 2 enormi piazze dove si vedono oltre 30 kiva.
L’ambiente circostante per bellezza e spettacolarità non può competere con gli altri insediamenti che abbiamo visitato, ma il chaco è talmente ricco di reperti unici da togliere il fiato.
Pueblo alti 3 o 4 piani circondati da mura, dall’aspetto simile a fortezze che nascondono dietro le alte pareti innumerevoli stanze.
È la più imponente delle città allineate in questo canyon, tutte abbandonate verso il 1100, costruita in un ambiente difficile che non ha mai offerto grandi risorse.
Gli anasazi abitarono questi deserti e mesas, prima dell’arrivo delle tribù che avrebbero fatto la storia della frontiera.
Prima degli spagnoli e dei loro cavalli, sconosciuti nel nord america;
prima che carestie e guerre li lasciassero come evaporare alla metà del 1300 in una nuvola di supposizioni e misteri.
Non tutte le meraviglia svelano i loro segreti, quelle degli anasazi chiedono solo di essere ammirate.
Alcuni archeologi suppongono che pueblo bonito fosse la capitale anasazi, per lo meno quella religiosa, l’unica cosa certa è che tra le rocce e i deserti di questi 4 stati, 700 anni fa una storia finì per sempre e gli anasazi diventarono memoria di pietra nel mondo di sabbia e pietra del sud ovest dell’america del nord.
La vacanza è finita, ma il nostro viaggio è solo all’inizio. Un lungo viaggio che ci porterà ad approfondire la conoscenza di questi popoli, o nazioni come loro preferiscono definirsi.
Perché che agli americani di oggi piaccia o no questa è l’unica storia antica di questa grande terra, e questi popoli che hanno strenuamente combattuto per difenderla sono le sue radici,
per conoscerla abbiamo attraversato luoghi indimenticabili e visitato antiche città sconosciute alla maggior parte della gente.
E’ stato bellissimo, torniamo a casa felici.

“Ogni lembo di questo paese è sacro al mio popolo.
Ogni collina, ogni valle, ogni pianura ed ogni foresta
Sono state rese sacre da qualche lieto ricordo o da
Qualche triste esperienza della mia tribù. La stessa
polvere su cui ora camminate risponde con maggiore
affetto ai nostri passi che ai vostri, perché è impregnata
del sangue dei nostri antenati… perfino i bambini
piccoli, che solo da una breve stagione godono
delle gioie di questa terra, amano queste solitudini
e dopo il calar del sole salutano le ombre degli spiriti
che vi fanno ritorno. Quando l’ultimo pellerossa sarà
scomparso ed il suo ricordo sarà diventato un mito tra
gli uomini bianchi, questi lidi brulicheranno degli spiriti
invisibili dei nostri morti e quando i figli dei vostri
figli si crederanno soli nei campi, negli empori, nelle
autostrade o nella quiete di un bosco inesplorato, essi
non saranno soli. Di notte, quando le strade dei vostri
villaggi e delle vostre città si faranno silenziose e voi
le crederete deserte, esse si popoleranno degli eserciti
di quanti vissero qui ed ancora amano questa terra
meravigliosa. L’uomo bianco non sarà mai solo.”
Sealt (Capo dei Duwamish)

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