Quebec, la vie en vert... et bleu

Il verde della foresta, il blu del mare e del cielo grandissimo. L’aria sottile del Quebec sente di resina e di mare…

 

 

 

Il Quebec è quello che immaginiamo, non manca assolutamente nulla: immense foreste verdissime che si tuffano direttamente nel mare, intervallate da limpidi torrenti o da piccoli specchi d’acqua turchesi; coste lunghissime come le spiagge che le contornano, qua e là paesini di casette colorate; qualche città che sembra conservare un’ottima vivibilità, al di là delle dimensioni.
E’ infinito, è il trionfo della Natura, è un meraviglioso matrimonio tra terra e mare, in cui il verde e il blu, nettamente predominanti, davvero riempiono occhi e cuore.
Quindi, il Quebec non mi ha sorpreso, e neanche lontanamente deluso; una terra generosa, un luogo stupendo che vale assolutamente il viaggio, ma in un certo senso atteso, che non mi ha acceso passioni particolarmente intense, forse per l’abitudine che ormai mi sono fatto a luoghi di questo tipo.
Mi accorgo che, di questa incredibile nazione in cui sogno di andare a vivere, la mia parte prediletta è quella occidentale, quella di Alberta e British Columbia, Montagne Rocciose e costa del Pacifico, dove la Natura più selvaggia è ancor più a portata di mano e i paesaggi se possibile perfino più imponenti.

Al di là dei confronti, sono qui per raccontare del mio Quebec, di cui riporto subito qualche considerazione in ordine sparso, così come mi vengono in mente (c’è chi ha scritto dei libri più o meno in questo modo, e non ho mai capito perché me li abbiano fatti studiare a scuola…).
- Il Quebec è grandissimo, praticamente sconfinato nelle pianure che si estendono verso nord.
Noi europei, normalmente, ci limitiamo all’area centrale della regione: i sogni di raggiungerne il grande nord, le coste selvagge che corrono a est oltre la Cote Nord verso Newfoundland e Labrador o il boscoso est che confina con l’Ontario, si infrangono contro le distanze enormi e i mortificanti limiti di tempo delle nostre vacanze.

- Decisamente vietato a chi parte in cerca del divertimento mondano e affollato, il Quebec è il paradiso del pescatore e del cacciatore, di chi ama la Natura, di chi vuole uno scoglio su cui sedere per godersi il vento del mare del nord, di chi in vacanza cerca la tranquillità di una spiaggia fredda e deserta e il rifugio delle poche case che sembrano avamposti di fronte ad una Natura nettamente predominante.

- Dicono che sia l’anima francese del Nord America; non me ne vogliano i fieri quebecois, a me è sembrato semplicemente una parte del Canada, non troppo distante dalle regioni dell’Ovest che ho visitato qualche anno fa; se non fosse per la lingua francese, ostinatamente l’unica parlata, e a volte compresa, in buona parte delle comunità sparse sul territorio, sinceramente non ho ritrovato quello “stile” della douce France, lo charme e la cucina raffinata, che sulle guide assegnano con tanta facilità al Quebec.

- Mi ha colpito il silenzio. Noi che viviamo assediati dall’inquinamento acustico delle nostre città, troviamo quasi innaturale il silenzio del Quebec, delle foreste e delle coste lambite dal placido San Lorenzo.
Nella nostra casetta sul lago al Pourvoire Essipit abbiamo davvero faticato a prendere sonno, irrequieti per il silenzio assoluto; avevo sorriso guardando John Cusack in Mezzanotte nel Giardino del Bene e del Male, newyorkese doc che per addormentarsi nella tranquillità di Savannah accendeva una registrazione con i clacson e le sirene di Manhattan: a distanza di una decina d’anni, siamo diventati così anche noi´ A parte che a Savannah non ho trovato ‘sto gran silenzio…

- Per vivere un’esperienza di Natura “estrema” non è necessario percorrere centinaia e centinaia di chilometri verso i pourvoires nel nord. Avevo questo sogno e ho disperatamente cercato in internet, ma mi sono arreso: questi sono per lo più riservati ai cacciatori (cervi e orsi, mica uccellini…), si raggiungono con idrovolanti o voli parecchio costosi gestiti da piccole compagnie aeree (certo, c’è anche una linea ferroviaria e un paio di strade, ma ci vogliono giorni). In pratica, ci vanno gli americani o i canadesi, noi non abbiamo tempo a sufficienza; e anche avendone in abbondanza, credo che esperienze simili si possano vivere anche in strutture poste a non più di qualche ora di macchina dalla strade principale. (per i pourvoiries del Quebec, vd. www.fpq.com)

- La penisola Gaspesie vale da sola una vacanza; la sola parte più orientale, quella del Parc de Forilllon, di Percé e dell’Ile Bonaventure, meritano una sosta di 4-5 giorni, e il Parc National du Bic, spesso “saltato” dai turisti, sarebbe invece una meta da non perdere.
Normalmente, si tende a percorrerne la costa nord, o a completarne il giro in modo sbrigativo, come abbiamo fatto noi, ma la sensazione è che sia un luogo splendido e pieno di attrazioni, che da solo vale il viaggio. Magari in abbinamento con il trascurato New Brunswick, nel quale si trovano il paesaggio e le atmosfere del vicino New England.

- Bisogna fare delle scelte.
Io, come al solito, ci sono cascato, e ho cercato di vedere il più possibile tra la Cote Nord e la Gaspesie. Si può fare, ma il rischio è di fare centinaia di chilometri per arrivare in un posto per un unico giorno e di non poterne godere per il maltempo, come è capitato a noi a Mingan. Secondo me, vale la pena di tirare un sospirone e scegliere se privilegiare la costa nord o la penisola di Gaspesie.

- Montreal vale tranquillamente una sosta di almeno 2 giorni interi; Quebec Ville molto meno, per un europeo il centro storico è affascinante e simpatico ma non certo unico, quindi basta e avanza una giornata scarsa

- Le altre città non meritano più di qualche mezz’ora di sosta per un’occhiata ai negozi di souvenir e due passi sul lungomare

- Non siamo riusciti a provare l’ebbrezza di un giro su un idrovolante. Credevo fossero ovunque e nei primi giorni abbiamo rimandato, per poi trovarne pochi e solo sui laghetti della Cote Nord e a sud di Gaspesie.

- In alcune zone del Quebec sono molto numerosi i nativi americani; addirittura in Quebec vivono 15 “nazioni autoctone”, appartenenti a varie etnie, tra cui ci le più note Algonquians, Huron - Wendats, Montagnais e Micmacs; in alcune località della Cote Nord la loro presenza è particolarmente evidente e insegne e cartelli stradali sono bilingui.

- Si dice che il Canada abbia due stagioni: luglio e il resto dell’anno. Be’, forse il detto è un po’ drastico, diciamo che, tolti giugno e luglio, l’autunno comincia presto e in caso di maltempo può fare freddino. Nelle nostre due esperienze, entrambe estive, abbiamo trovato un clima gradevole, con serate fresche, giornate tiepide e pioggia limitata.

Dove alloggiare

Non ci sono problemi di alloggio nel Quebec più turistico che noi abbiamo visitato. L’unica zona in cui ho visto carenza di strutture è la Cote Nord, tranne che nel paese di Havre Saint Pierre, dove c’è la maggiore concentrazione di visitatori.
I Bed & Breakfast sono generalmente abbastanza cari, come negli Usa del resto; si incontrano in buon numero anche motel; la qualità è soddisfacente, anche se ne abbiamo incontrato pochi delle catene maggiormente conosciute.
La soluzione delle cabins, invece, mi è sembrata meno frequente rispetto al Canada occidentale.
Informazioni pratiche sulle sistemazioni da noi provate:
Montreal:
- Hotel Delta Montreal, av.President Kennedy: giudizio sicuramente positivo, è in pieno centro, non è carissimo se prenotato con anticipo e offre standard qualitativi sufficientemente elevati da soddisfare l’esigenza di un buon riposo che si avverte alla fine di un viaggio aereo abbastanza lungo
Prenotazione con Expedia, 162 euro per 2 notti, colazione esclusa
www.deltahotels.com
- b&b Vieux Pommiers, Tadoussac: accogliente, la padrona di casa è particolarmente cordiale e prodiga di consigli e storie su Tadoussac, in cui è nata e cresciuta. Pagati 150 dollari per una camera con colazione. Dal sito del b&b è possibile prenotare direttamente le crociere organizzate da 4 diverse compagnie sul Saguenay e per il whale-watching.
- Essipit Centre, Les Escoumins: chalet sul Lacs a Jimmy, che ho ampiamente descritto nel diario. Soluzione incantevole, letteralmente la realizzazione di un sogno. Pagati 312 dollari per 2 notti, tasse incluse. Anche in questo caso, è possibile prenotare il whale-watching, a prezzi inferiori rispetto a Tadoussac e, teoricamente, in acque “migliori”. Con lo zodiac, nel 2009 abbiamo pagato 77 dollari per gli adulti e 48 per la bambina.
L’Essipit Centre assegna lo chalet in base agli interessi dei visitatori (in pratica chiede se si è o meno pescatori) e organizza anche escursioni a piedi o con avvistamento orsi.
www.essipit.com
- Phare de Pointe des Monts: non voglio dire di più di quanto già scritto, assolutamente straordinaria la location, ottima la cena, gradevoli le camere, anche se con bagno in comune (3 stanze).
Il forfait con cena e prima colazione per i 2 adulti è costato 225 dollari; Matilde ha pagato 10 dollari per la camera e la cena a parte.
www.pharepointe-des-monts.com
- Motel Gite Chez Marjo, Riviere Au Tonnerre. Come detto, il motel, una delle due sistemazioni possibili in paese, è di buona qualità ed è situato in una posizione assolutamente favorevole di fronte al mare. Abbiamo anche fatto colazione nella casa dei proprietari adiacente alla costruzione che ospita le camere (e dove sennò´) Non ricordo quanto ci è costato
- Motel Nanook, Cap Chat: motel classico, posto sulla strada costiera principale (o unica´). Scelta al momento, è una sistemazione discreta, colazione quasi sufficiente. Non ricordo il prezzo, ma era comunque medio, “da motel”.
www.motel-nanook.com
- Gite du Mont Albert, Parc National de la Gaspesie: albergo di ottimo standing, uno dei classici alberghi di lusso immersi nella natura che si trovano nei parchi del Nord America: abbondante utilizzo del legno, ampie camere con vista spettacolare, salone in legno con poltrone di fronte all’enorme camino sempre acceso, piscina all’aperto e ristorante. Insomma, una soddisfazione assolutamente da non perdere. Ovviamente, è stata la sistemazione più cara della vacanza: totale di 630 dollari per 2 notti (348 dollari senza tasse) e 1 cena (185 dollari senza tasse).
Informazioni sul sito della Sepaq, che gestisce i parchi nazionali del Quebec: www.sepaq.com
- Motel Fleur de Lys, Percé: motel nel centro di Percé, sulla strada costiera, alcune camere hanno vista sul mare. E’ di legno e ha una struttura non lineare, quindi non è un motel “classico” nell’aspetto, comunque le camere rispecchiano la buona qualità senza fronzoli che normalmente si incontra in sistemazioni di questo tipo. Una notte 138 dollari.
www.gaspesie.com/fleurdelys
- Hotel- Musée Premieres Nations, Wendake: sistemazione assolutamente unica, anche di fatto, visto che è l’unico albergo di questo tipo, costruito in stile urone e in cui lavorano esclusivamente nativi. La qualità è quella di un 4 stelle canadese, quindi ottima. Il prezzo, colazione inclusa, è stato di 185 dollari (che comprende anche la visita al museo, quindi si può evitare di pagare quella al museo del paese).
www.hotelpremieresnations.ca

In cucina

Leggo dappertutto che la gastronoma del Quebec si distingue tra quelle delle altre regioni nord-americane per la ricchezza e la raffinatezza, che i quebecois ne vanno fieri e che sono famosi per la loro “art de vivre” tutta francese, fatta di caffè all’aperto, vita mondana e attenzione alla cucina.
Non posso dire nulla della vita notturna, ma per quanto riguarda la cucina, temo che i simpatici abitanti del Quebec vadano un po’ di corsa, magari spinti dal desiderio di distinguersi dai “rozzi” fratelli canadesi anglofoni; tanto che, secondo il nostro palato italiano, meglio un ristorante medio che offra piatti semplici e gustosi, perchè più salgono il livello e la sofisticatezza del menu, più aumenta il rischio di andare incontro a spiacevoli (e costose) sorprese.
Abbiamo mangiato buona carne e ottimi crostacei.
Questi ultimi secondo me caratterizzano positivamente la cucina del Quebec e si trovano ovunque, tenuto conto che in un viaggio come questo il mare è onnipresente e che i centri urbani sorgono praticamente tutti sulla costa; sono serviti in genere bolliti con salsa all’aglio, e di solito sono in quantità spaventosa e a prezzi contenuti.
Una menzione negativa, invece, per 2 prodotti tipici: la birra Labatt Blue (molto “normale”) e, soprattutto, il tanto desiderato quanto costoso Vin Glace, vino da fine pasto, tipo un nostro passito, ottenuto dagli acini di uva ghiacciata, in quantità ovviamente minime e quindi molto pregiato; è molto pubblicizzato e pensavo di farmene un bicchierino dopo ogni cena, ma nei ristoranti non lo servono e nei supermercati non si trova, quindi lo si può acquistare solo nei negozi (tutt’altro che frequenti) specializzati nella vendita di alcolici. Peraltro, l’ho trovato troppo “mieloso” e decisamente meno gradevole dei cugini passiti italiani.
Discorso a parte per il più tipico dei piatti del Quebec: la “minacciosa” poutine, un ammasso di patatine fritte inondate di salsa e di formaggio fuso; detto così, al di là del contributo calorico, sembra la cosa più gustosa del mondo, la verità non corrisponde esattamente alle attese. Da provare!

Itinerario

Anche stavolta ho pensato di essere più furbo di quelli che tracciano gli itinerari dei classici viaggi in Quebec e ho fatto di testa mia:
- arrivo a Montreal
- spostamento verso Tadoussac con breve puntata al fiordo Saguenay
- un paio di giorni nei dintorni in una tipica casetta di legno sul laghetto
- proseguimento lungo l’interminabile Cote Nord, su fino a Mingan
- ritorno e imbarco a Sept-Iles verso Matane, sulla penisola Gaspesie
- giro della penisola e arrivo a Quebec
- ritorno a Montreal
A posteriori, credo che sarebbe meglio concentrarsi su un’area più ristretta: ferme restando le 2 principali città, in pratica sceglierei tra costa nord, con esplorazione più approfondita del Saguenay, una puntata al Parc National de la Maurice e magari il proseguimento via barca oltre Natashquan, dove finisce la strada costiera n.138, e penisola Gaspesie, con “sconfinamenti” nel New Brunswick.
Entrambe gli itinerari offrono bellezze incomparabili e scegliere l’uno significa rinunciare a qualcosa di importante, tanto che l’itinerario più frequentemente offerto dai tour operator prevede un “misto” (per la verità impoverito) fatto di costa nord fino al Saguenay, traversata fino alla Gaspesie e percorso della costa settentrionale della stessa fino alla celeberrima Rocher Percé.
Mi è dispiaciuto molto perdere l’isola d’Anticosti e, soprattutto, l’Ile de la Madeleine; sono complicate da raggiungere, ma le consiglierei vivamente a chi abbia più tempo a disposizione

Da non perdere

Questa volta scriverò davvero una sorta di diario di viaggio, per una volta attingendo a piene mani da quello che Stefania redige diligentemente di sera, con una costanza che le ho sempre invidiato e mai del tutto compreso.
La premessa, doverosa, è che si tratta di un viaggio “in famiglia”: io, mia moglie Stefania, e Matilde, anni 10.

11/07/2009. L’ARRIVO
Voliamo con Klm, destinazione Montreal via Amsterdam. Tutto ok, anche stavolta Klm si rivela una scelta felice e anche stavolta constatiamo come gli aeroporti occidentali siano tutti, ma tutti, migliori di quelli di casa nostra; considerazione che si ripete puntuale tutti gli anni
A Montreal pernottiamo al Hotel Delta di av.President Kennedy, sistemazione piacevole in centro città, non troppo costosa se prenotata con buon anticipo e a “walking distance” da tutti i principali luoghi di attrazione della città.
Siamo massacrati dal fuso orario, quindi ci concediamo solo un breve giretto prima della cena a Les Troi Brasseurs di rue Sainte Catherine, simpatico locale ristorante american-style (è una catena, ce ne sono 4 in città), che apprezziamo, tanto da tornarci anche la sera successiva.
Sono i giorni del Montreal Jazz Festival e la città è affollatissimo di gente che si accalca festosa sotto i numerosi palchi allestiti nelle piazze del centro; atmosfera magica e divertente, peccato che noi siamo in piedi da più di 24 ore e non tardiamo a crollare.

12/07. MONTREAL
Dopo la solita prima lunghissima notte, partiamo per un giro della città.
Montreal è una sorpresa molto piacevole: l’aspetto è quello delle metropoli nord-americane (circa 4 milioni di abitanti nell’area urbana, la terza città francofona del mondo dopo Parigi e Kinshasa), ma la sensazione è di un’ottima qualità della vita, poca frenesia, un’attenzione notevole per gli ampi spazi verdi e servizi a misura d’uomo. Saranno i numerosi giovani che frequentano i grandi campus delle università, i parchi colmi di gente e le isole sul San Lorenzo votate al divertimento e allo sport (come il parco La Ronde); sarà che sono i giorni del Jazz Festival, e in città già si preannunciano il prossimo torneo open di tennis, il Laugh Festival e il festival internazionale dei fuochi d’artificio, a noi Montreal dà l’impressione di una città in movimento, che guarda avanti, con un entusiasmo e un trasporto per il “nuovo” che da noi sembrano un po’ venuti meno.
Cominciamo la nostra camminata dalle suggestive e silenziose viuzze della vicina chinatown; la cattedrale di Montreal è vicina, ma ci è consentita solo un’occhiata, perché si visita di pomeriggio; quindi, attraversate le vie della città vecchia (che fa impazzire gli americani ma che per noi ovviamente non è granchè entusiasmante), attraverso la caratteristica Rue des Artistes raggiungiamo la vivace Place J.Cartier, vero cuore pulsante della città, scenografia per lo spettacolo di numerosi artisti di strada, o di pazzi come quello che incontriamo noi, che per un dollaro si fa prendere a cuscinate.
Da lì, passiamo per il Marchè Bonsecours, che oggi contiene negozi di artisti e souvenirs, e arriviamo al Vieux Port, dove noleggiamo un risciò e percorriamo il piacevole viale tra il verde e il San Lorenzo.
Immancabile la visita alla mitica città sotterranea, di cui si legge su ogni guida; ricavata come ampliamento della metropolitana, è una sorta di sdoppiamento sottoterra della città in superficie, con ristoranti, negozi, uffici e addirittura collegamenti per gli ospedali, tanto che in teoria ci si potrebbe vivere senza salire mai all’aria aperta.
Scopriamo però che la città sotterranea è utilizzata solo d’inverno per difendersi dal grande freddo che attanaglia Montreal, mentre d’estate è del tutto vuota, praticamente una città fantasma.
La metropolitana ci porta al Mont Royal e di qui all’omonimo parco. Il Parco è frequentatissimo dai “montrealesi”, che ci vanno per passeggiare, pedalare, correre, pattinare sul ghiaccio e fare sci di fondo; ma il momento più aggregante, vera apoteosi della pazzia e del divertimento, si tiene ogni domenica: la tam-tam Sunday
Nel pomeriggio, ai piedi del monumento a sir George Etienne - Cartier, si ritrovano centinaia di persone che ballano incessantemente al ritmo di decine di bonghi e percussioni di ogni tipo (con l’ausilio di qualche “canna”, a giudicare dall’aria che si respira…). L’ambiente è incredibile, è divertente, sembra un tuffo in un ritrovo hippy anni ’70 in piena regola, e non posso negare che anche noi avvertiamo un’atmosfera di pace e fratellanza: avremo respirato troppa “aria” della tam-tam Sunday´
Dopo l’ascesa di rito dei gradini che portano al belvedere posto sulla sommità del “mount” per la fotografia della città dall’alto, torniamo distrutti in centro città: troppa gente, impossibile partecipare alla fiesta cubana che chiude il Jazza Festival. Le trois brasseurs e dritti a letto…

13/07. MONTREAL – TADOUSSAC, 480 Km (6,30 ore)
Oggi dobbiamo arrivare fino a Tadoussac, alla foce del fiordo Saguenay: giornata di lunghi spostamenti.
Attraversata verso nord Petit Italie (vi abitano circa 300.000 “italiani”), usciamo da Montreal con tranquillità, il traffico non è certo paragonabile a quello che affligge le nostre città.
L’autostrada è gratuita e subito ci si trova immersi nel Canada del verde e dei grandi spazi: foreste su ambo i lati della strada e ampissimi campi a separare le due carreggiate.
Lungo la strada ci fermiamo a Beaupré, dove si trova il piccolo parco del Canyon Saint Anne, in cui si passeggia intorno e “sopra” un canyon scavato dal fiume profondo 75 metri, su sentieri ben attrezzati e 3 ponti sospesi, il più alto dei quali permette 2 passi sopra la cascata a poco meno di 60 metri di altezza!
L’area comprende anche un suggestivo percorso interattivo per i bambini, con statue “indiane” che propongono enigmi sulla natura circostante. Certo, non è il luogo più selvaggio del Quebec, ma il Canyon Sainte Anne merita sicuramente una sosta.
Arriviamo a sera nella baia di Tadoussac, dopo aver attraversato il breve braccio di mare del Saguenay con il traghetto gratuito: in apparenza fa la spola tra le due sponde, ma in verità congiunge il Quebec “civilizzato” con quello selvaggio che comincia da lì, quello dell’avventura, quello del viaggiatore più che del turista…
Tadoussac è turistico e affollato, ma è davvero più piccolo di quello che ci si aspetta dopo averne letto così diffusamente sulle guide: una strada principale, poche case che si affacciano sulla baia, qualche negozio di souvenir (tra i più belli che abbiamo trovato, approfittarne per acquisti perché poi non se ne trovano più), alcuni ristoranti e il celeberrimo Hotel Tadoussac, affascinante albergone in legno dall’eleganza un po’ retrò (è del 1862).
Per l’unica volta nella vacanza, facciamo fatica a trovare posto per cena e optiamo per l’unica sistemazione disponibile, Chez Mathilde, un ristorante discretamente raffinato dopo consumiamo una delle cene meno gustose (sempre per l’assunto che in Canada e negli Usa più sale il livello del ristorante, peggio si mangia) e più costose della vacanza (80 dollari in tre, non è un conto caro in assoluto, ma normalmente si spende meno).
Notte al Le Vieux Pommier Bed & Breakfast, accogliente, ottima colazione, gestito da Linda, proprietaria gentile e prodiga di consigli.

14/07. TADOUSSAC – SAGUENAY – POIRVOIRE ESSIPIT (pochi chilometri)
Affrontiamo una giornata particolarmente intensa, sostenuti dall’elettrizzante bellezza della zona.
Cominciamo con un giretto prima di colazione sull’invitante e comodo sentiero che gira attorno al promontorio di Tadoussac dal quale, nelle grigie acque in cui l’acqua dolce del Saguenay incontra quella salata del San Lorenzo, Stefania e Matilde scorgono la prima balena della vacanza…
Dopo qualche acquisto nei negozi di rue des Pionniers, ci dirigiamo verso Baie Anse de La Roche, un punto panoramico qualche chilometro a nord della foce del Saguenay, giusto per assaporarne in parte la maestosa bellezza.
Il tempo è splendido e possiamo stare comodamente seduti sul pontile in legno, gustandoci un caffè di fronte alle acque scure del fiordo, sul quale si affacciano alcune casette colorate, tutte ovviamente con propria barca adagiata sulla baia (nel vero senso della parola, visto che c’è la bassa marea…).
Nel pomeriggio giungiamo al Poirvoire Essipit, che incarna il tipico sogno della casetta di legno solitaria su un laghetto da sogno contornato da foreste; la struttura è ben organizzata: il personale accoglie gli ospiti alla reception e li accompagna con il quad ai propri alloggi, che distano qualche chilometro di strada sterrata nel bosco.
Arrivati allo chalet “Moineau”, restiamo a bocca aperta: il silenzio è assoluto, l’acqua uno specchio, lo chalet particolarmente accogliente, tutto in legno, un ampio portico con tavolone, un piccolo molo privato con barchetta a remi. Fantastico!
Verso sera, partecipiamo subito all’escursione per l’avvistamento degli orsi. L’esigua comitiva di turisti raccolti dalle varie casette viene accompagnata nel profondo del bosco (come nelle fiabe…) e lasciata in una piccola costruzione in legno dalla quale si osservano gli orsi che, attirati con del cibo, escono con circospezione dagli alberi nella zona in vista.
Certo, gli orsi vengono appositamente attirati nella radura davanti a noi, ma sono comunque liberi e nel loro habitat; e alla lunga il susseguirsi infinito di domande che qualche ospite rivolge alla guida diventa noioso e ti viene voglia di urlargli di tacere e di lasciarti godere il tramonto sulla foresta, ma l’esperienza è comunque molto apprezzabile, gli orsi numerosi e interessanti.
Tornati allo chalet, ci godiamo una cena indimenticabile sotto il portico davanti al lago.
Ma una domanda mi assilla: perché gli americani, e soprattutto i canadesi, parlano così tanto´ Perché tante domande alle guide´ Perché tanta ridondanza di parole da parte delle guide, in questa come in altre precedenti occasioni´ Perché alla radio le trasmissioni “parlate” superano di gran lunga quelle musicali´ Con una considerazione di intelligenza profondissima, concludo che i canadesi amano l’abbondanza di parole perché vivono nel silenzio e sono poco numerosi; il nostro bisogno di silenzio, al contrario, è direttamente proporzionale al rumore che tempesta ininterrottamente i nostri padiglioni auricolari. E me ne vado a letto, buio e silenzio sono assoluti..

15/07. LE BERGERONNES
La zona di Tadoussac è nota per essere molto favorevole per il whale-watching, ma noi, tramite l’Essipit Centre, abbiamo prenotato per un’escursione pochi chilometri verso est, a Le Bergeronnes, nelle cui acque dovrebbero esserci meno barche e ancora più balene rispetto alla baia di Tadoussac.
Ci forniscono una tutona pesantissima, berretta e guanti e partiamo, anzi voliamo, sulle onde del San Lorenzo.
Obiettivo-balene più che raggiunto: abbiamo la fortuna di osservarne un sacco, anche abbastanza vicine, oltre a foche e numerosi petit pinguins.
Obiettivo-divertimento ampiamente raggiunto: cavalcare a gran velocità le onde con lo Zodiac, i salti e le continue docce di acqua gelata, il vento del San Lorenzo, siamo contentissimi!
Il pomeriggio allo chalet è di quelli che non si dimenticano: prendiamo la barca e ci avventuriamo per un lungo e lento giro del “nostro” lago, sull’acqua docilmente increspata nella quale si specchia verdissima la foresta; poi, ci rilassiamo seduti fuori dalla casetta, un mini-bucato steso al sole, una Pepsi gelata, dura la vita da outfitters!
La sera è maestosamente silenziosa.

16/07. POIRVOIRE ESSIPIT – POINTE DES MONTS, 270 km (3,45 ore)
Trascorsa una seconda notte resa difficile dai rumori degli animali fuori dal cottage che nel totale silenzio ci sono sembrati una mandria di gnu al galoppo nel Serengeti, continuiamo il nostro percorso lungo la strada 138. Pochi chilometri e siamo fermi in un luogo assolutamente da non perdere: il Cap du Bon Desir.
Niente più di un faro, un minuscolo museo e una piccola distesa di scogli piatti dai quali, comodamente seduti, si possono osservare le balene nuotare lentamente nelle acque immediatamente prospicienti. Da quanto letto sulla guida, non avevo grandi aspettative, al massimo, mi dicevo, si avvisterà una balena da lontanissimo… Invece, nel giro di un’oretta scarsa ne vediamo quasi una decina e alcune veramente vicine agli scogli; Matilde, ormai esploratrice provetta, vive un’esperienza solitaria “a tu per tu” con una balena e ne è totalmente conquistata…
Lungo la strada, sostiamo per un pranzetto e due acquisti a Baie Comeau, e raggiungiamo Pointe des Monts che è pomeriggio inoltrato.
Lungo la 138 i paesi sono praticamente inesistenti (nei pochi che incontriamo, facciamo la gara a chi vede più persone “vive”) e incrociamo sempre meno automobili; usciti dalla strada principale, la nostra tanto desiderata sistemazione, il faro di Pointe des Monts, si raggiunge con un percorso su una strada secondaria di una quindicina di chilometri, letteralmente in mezzo al nulla.
Il faro è un sogno, esattamente come quelli che disegnano i bambini: un ponte in legno conduce alla casa, posta accanto alla torre bianca e rossa a strisce del faro vero e proprio, entrambi splendidamente accomodati su una spianata rocciosa che si apre tra la foresta e il mare; splende il sole e le bandiere marittime garriscono sul pennone davanti alla casa, non crediamo ai nostri occhi…
Veniamo accolti da una rude donna in canottiera con asciugamano sulla testa, che poi sarà la stessa che, in divisa da marinaretto con bottoni d’oro e guanti bianchi, ci servirà con cortesia impeccabile una sontuosa (e impossibile da terminare) cena a base di crostacei in salsa all’aglio.
Il resto del pomeriggio, e della sera, li trascorriamo esplorando scogli e spiaggette e scattando un’infinità di foto.
Cielo e mare, dello stesso nero scuro scuro, si distinguono per l’infinità di stelle che punteggiano il primo.

17/07. POINTE DES MONTS – RIVIERE AU TONNERE, 280 km (3,45 ore)
La 138 corre seguendo la costa, con lunghi saliscendi che consentono allo sguardo di spaziare su panorami infinitamente ampi.
Non posso non ammettere che il paesaggio è abbastanza ripetitivo, ma gli scorci sul mare, i laghetti che si incontrano, le repentine salite e discese, fanno sì che quasi mai risulti noioso, nonostante la lunga percorrenza.
Spezziamo naturalmente il viaggio con qualche sosta: Riviere Pentecoste, con la chiesetta posta sopra il porticciolo molto frequentato dai pescatori, dove facciamo una passeggiata sulla lunga e deserta spiaggia, quindi Sept Iles, l’unica cittadina della zona, nella quale troviamo una festa nella zona del lungomare; la cittadina, e la festa, non sono particolarmente accoglienti, ma ci fa piacere vedere un po’ di persone ( tra le quali, facciamo caso all’elevata incidenza di nativi americani).
Ancora un’oretta di strada e ci fermiamo in corrispondenza del Riviere Manitou dove, dopo aver scattato qualche foto allo struggente panorama del fiume che attraversa sinuoso una foresta estesa a perdita d’occhio, ci incamminiamo sul il sentiero ben segnalato che scende lungo il fiume (nel parcheggio situato qualche metro prima, si trova anche un piccolo centro informazioni, in cui si trova un opuscoletto esplicativo dei percorsi del luogo); dopo mezz’ora di cammino si arriva al salto principale della Chute Manitou, davanti al quale la foresta si apre improvvisamente come un sipario per lasciare spazio ad uno spettacolo davvero entusiasmante.
Emozioni forti, ricordi vivissimi; con Matilde, costruiamo una statuetta “inuit” di pietre e legna, chissà se ha resistito e sta ancora ascoltando l’urlo incessante della cascata…
Verso sera arriviamo a Riviere Au Tonnerre, dove ci sistemiamo al Motel Chez Marjo, amabilmente affacciato sul mare, con tanto di gazebo con amaca e spiaggetta, se così si può chiamare, privata.
La sera è magnifica: temperature mite, un tramonto struggente e silenzioso, l’aria tersa, invidio i pescatori che gettano la canna nel mare placido e buio del porticciolo.
Questo tratto di costa è davvero bellissimo: dà la sensazione dell’avventura, le strutture turistiche sono scarse, spazi e panorami enormi; nel contempo, però, la natura d’estate non è minacciosa e appare accogliente anche per una famiglia.

18/07 RIVIERE AU TONNERRE – HAVRE SAINT PIERRE… E RITORNO (200 km, 2,30 ore)
Accogliente per una famiglia, a patto di saper stare in camera a leggere mentre fuori piove a dirotto e raffiche di acqua e vento scuotono i vetri del motel!
Sì, perché a dispetto dell’idilliaca sera precedente, la mattina ci svegliamo con un tempo orrido: le uniche ore di tempo davvero brutto della vacanza ci capitano proprio nella giornata peggiore, quella destinata all’escursione alle isolette del Parc National de Mingan, forse la più desiderata meta della vacanza, per la quale mi sono sciroppato più o meno 1.000 km di macchina tra andata e ritorno!!
Proviamo ad andare comunque a Havre Saint Pierre, disposti a salire su una barca anche in quelle condizioni, con acqua, scarsa visibilità, vento e mare mosso, ma è impossibile, le crociere sono sospese per tutta la giornata.
Sono una belva, compriamo un pile a Matilde, giusto per dimostrare a noi stessi che a Mingan ci eravamo arrivati, e torniamo mestamente indietro, d’altronde non possiamo permetterci di attendere il giorno dopo, visto che abbiamo prenotato il traghetto per Gaspesie
Ci manca anche l’entusiasmo per proseguire fino a Natashquan, dove si trova il suggestivo punto di arrivo della strada costiera 138, sono altre 2 ore e il tempo è talmente inclemente…
Sulla mesta via del ritorno, possiamo fermarci al paese di Mingan, un centro abitato da popolazione totalmente Montagnaise, in vero poco invitante: strade non asfaltate, case malmesse, cani nelle vie e poca gente che ti guarda con occhi sospettosi. L’attrazione del luogo è la chiesetta, molto suggestiva, che raccoglie i classici simboli cristiani unitamente a iconografia dei nativi, così che si trova l’altare sovrastato da una grande tenda indiana, il pulpito che rappresenta un’aquila scolpita nel legno, la via crucis dipinta su pelli di animali e così via.
Nuvole grigio scuro corrono veloci.

19/07 RIVIERE AU TONNERRE – BAIE COMEAU (350 km. 3,45 ore)
MATANE – CAP CHAT (70 km, 1 ora)
Anche oggi ci aspetta un bel pezzo di strada per tornare a Baie Comeau e imbarcarci sul traghetto che attraversa il San Lorenzo, quindi sveglia e partenza di primissima mattina.
Facciamo una sola sosta vera e propria, sulle spiagge di Riviere Pentecoste, dove passeggiamo per un bel pezzo tra una spiaggia e l’altra; siamo totalmente soli, percorriamo le piccole insenature che si susseguono al margine della foresta, il mare è mosso e molto affascinante, peccato manchi il sole, ma almeno la pioggia è cessata…
Pranzo a Baie Comeau, finalmente in un minuscolo centro commerciale dove troviamo un paio di locali carini e qualche negozio, e partenza alle 14.00.
La traversata non è un lunga, si tratta di 2 ore 20 circa, e per un po’ la navigazione scorre felicemente, ce ne restiamo sul ponte a goderci il cielo blu e il vento del mare; ma passata un’ora, il mare si fa alquanto agitato e il traghetto comincia un rollio davvero pesante: io, che soffro il mare mosso, e Matilde, andiamo in crisi, l’orizzonte ai nostri occhi sale e scende dal bordo della barca, non sappiamo più cosa fare, poi ci sdraiamo sulle panche all’aria aperta, chiudiamo gli occhi e le cose sembrano andar meglio.
Il traghetto è prenotabile sul sito della Società des Traversier - http://www.traversiers.gouv.qc.ca.
A Matane, la quiete dopo la tempesta: il sole è tiepido ed è calato il vento, ci sistemiamo lo stomaco passeggiando nei piacevoli giardini lungo il fiume, dove si trova anche il celebrato “Posto di osservazione del salmone”: in teoria, ci sarebbero i salmoni che risalgono la corrente, a dire il vero non ci capiamo granché.
Per la sera, raggiungiamo a Cap Chat, dove troviamo alloggio in un motel sul mare.
Mangiamo una pizza in un’improbabile baracca-roulotte-ristorante e stiamo a goderci il tramonto: in spiaggia hanno acceso dei grandi falò, il cielo è arancione e blu.

20/07 CAP CHAT – PARC NATIONAL DE LA GASPESIE, 60 km (1 ora)
Giornata di totale immersione nel verde.
Passiamo la mattina al “parco avventura” D’Arbre en Arbre (http://www.parccapchat.com), che offre sentieri lungo la scogliera, altri divertimenti come un labirinto tra gli alberi e, soprattutto, percorsi attrezzati di vario livello sugli alberi posti sulla collina a ridosso del mare.
Matilde, non nuova dell’esperienza, è carica a mille e non ha alcun dubbio ad effettuare il percorso, nonostante le difficoltà della lingua; io, invece, che sono un neofita, do un’occhiata agli alberi e mi spavento per l’altezza di alcuni passaggi, per cui abbandono con grande rammarico, per poi scoprire di aver guardato il percorso “estremo” e che c’erano altri più accessibili (mi avessero dato qualche informazione in più…)
Il parco è posto a picco su un mare azzurro scuro, che si può osservare immersi nel verde della pineta, oppure raggiungere con i sentieri che scendono alla spiaggia; i percorsi sugli alberi sono meravigliosi: il più spettacolare e adrenalinico è una lunga “teleferica” che scende sopra gli alberi e la scogliera, dando l’impressione di volare a picco verso il mare.
Nel primo pomeriggio, ci avviamo verso il Parc National de la Gaspesie, dove abbiamo prenotato l’alloggio più lussuoso della vacanza: il Gite du Mont Albert, un magnifico 4 stelle “old-style” immerso nel verde, circondato da nient’altro se non la foresta e le montagne del Parco.
Cartina alla mano, scegliamo subito una passeggiata sbagliata: La Saillie, praticamente 1,30 ore di salita incessante nel bosco, senza alcun piacere particolare se non il panorama sulla valle, e sull’hotel, che si gode dal belvedere che rappresenta il punto di arrivo. Molto meglio sarebbe stato fasi un giro lungo fiume, sui sentieri che percorrono in tutta tranquillità il fondo valle.
Per cena stiamo al ristorante dell’hotel e, per godere del lusso dei grandi alberghi di montagna americani, passiamo la sera nel “salotto”, sulle poltrone davanti al fuoco acceso nell’enorme camino in pietra.
Fuori, una stellata pazzesca.

21/07 PARC NATIONAL DE LA GASPESIE
Il programma è di raggiungere la “vetta” più alta del Quebec: il Mont Jaques Cartier, che si erge nel Parc de la Gaspesie a ben 1.268 metri: la più classica delle escursioni nel Parco, con la possibilità di osservare la sola popolazione di caribou presente a sud del san Lorenzo.
E’ la montagna per eccellenza del Parco e viene trattata con grande rispetto, forse eccessivo per noi “gente delle Alpi”, abituati a ben altre altitudini e a escursioni molto più difficoltose; certo, qui le condizioni di tempo sono molto mutevoli, ma l’attrezzatura estrema che viene consigliata e il grado di difficoltà assegnato al sentiero sono molto “americani” per il nostro metro di giudizio e sovra-dimensionate rispetto alle effettive difficoltà.
Il punto di partenza dista dal Gite du Mont Albert 42 km di strada sterrata, larga e agevole, anche divertente a patto che non si resti in coda a qualcun altro, perché ogni automobile solleva una cortina di sabbia e polvere che azzera la visibilità.
Gli ultimi chilometri si percorrono con uno school-bus che fa la spola tra il centro informazioni e l’inizio del sentiero.
Sul Mont J.Cartier si arriva con una salita di 4 km (qui le distanze di misurano in metri e non in tempo di percorrenza come da noi) su un sentiero agevole, ma in buona parte abbastanza noioso, perché nascosto tra i cespugli.
Quando mancano circa 1,8 km alla vetta, la vegetazione si dirada e la vista può spaziare su panorami ampissimi, montagne arrotondate, laghetti e ovviamente foreste a perdita d’occhio.
Quasi sulla sommità, notiamo contro il cielo le sagome della mandria di caribou: sono tanti, circa una trentina, e pensare che la ranger incontrata il giorno prima ci diceva di aver appena accompagnato degli escursionisti molto fortunati, perché avevano avvistato una decina di caribou!
Le regole di approccio ai caribou sono ferree: semplicemente è vietato avvicinarsi, vietato fare rumore e consigliato abbassarsi sulle ginocchia nel caso in cui si viene avvicinati da un animale.
E’ proprio quello che succede a Matilde e Stefania, che hanno la fortuna di essere raggiunte da un caribou che incrocia il sentiero davanti a loro, si ferma a mangiare dell’erba e continua con passo lento la sua strada.
In cima il vento è freddo e soffia in raffiche pungenti; scattiamo le foto di rito sulla torretta dell’osservatorio, ci gustiamo il panorama a 360 gradi e ci incamminiamo sulla via del ritorno.
Trascorriamo un pomeriggio di puro relax nella piscina dell’hotel gustandoci un’ottima pina colada, un po’ di lusso non guasta.
Cena nell’unica alternativa al ristorante del Gite du Mont Albert disponibile nei paraggi, il bistrot del centro informazioni, dove offrono piatti semplici, ma decisamente più economici.
Domani è prevista pioggia.

22/07 PARC DE LA GASPESIE – PERCE’, 300 km, 4,45 ore
La pioggia oggi non è un problema, visto che dobbiamo passare parecchie ore in macchina.
Dopo pranzo arriviamo al Parc National de Forillon, purtroppo solo per una breve sosta.
Subito dopo l’entrata, incontriamo ai margini della strada un orsetto intento a sgranocchiare dei rami e naturalmente, in barba a tutte le raccomandazioni che ben conosciamo, scendiamo eccitati dalla macchina per fotografarlo, trascurando che potrebbe esserci la mamma nei paraggi…
Il Parc de Forillon è un piccolo gioiello di scogliere a picco sul mare e di foreste tutto intorno, un ambiente che vediamo impreziosito da una nebbiolina che ne aumenta il fascino da terra di confine.
Purtroppo, abbiamo poco tempo e possiamo permetterci solo un’occhiata al luogo più suggestivo, il Cap Bon Ami, che da solo vale la strada percorsa per arrivare fino qui.
Dal piccolo promontorio si osservano il mare, con le immancabili balene di passaggio alle quali ormai non facciamo quasi più caso, e le scogliere nelle quali si annidano piccoli pinguini e altri uccelli di mare; sulla spiaggia di ghiaia sottostante, facciamo due passi per goderci la Natura incontenibile di questo luogo.
Un po’ perché la strada per Percè è ancora lunga, un po’ perché ricomincia a piovere, risaliamo in macchina, con il rammarico di aver visto troppo poco di questo Parco; tra l’altro, sulla strada incontriamo addirittura un istrice, che possiamo aggiungere agli animali visti in questa vacanza.
Fatta una sosta a Gaspè (niente più di una via animata da qualche negozio e ristoranti), dove finalmente acquistiamo una costosa bottiglietta dell’agognato Vin Glace, raggiungiamo Percé nel tardo pomeriggio, sotto una pioggerella insistente e immersi nella nebbia.
Ciò nonostante, il paese mette allegria: è decisamente turistico, pieno di botteghe di souvenir, di ristorantini e di persone che offrono brevi crociere all’Ile Bonaventure e alla ricerca delle balene; e noi ci spariamo un sacco di negozi, con i giorni nella solitudine della Cote Nord prima e del Parc de Gaspesie poi, non ci dispiace affatto vedere un po’ di gente e immergerci nel tourbillon della località turistica.
Per l’Ile Bonaventure l’offerta, come detto, è molto ampia e i prezzi abbastanza uniformi; noi cerchiamo la barca più piccola possibile e la troviamo da un simpatico signore abbigliato come un capitano di altri tempi, con tanto di barba e pipa d’ordinanza.
La nebbia oscura il mare e impedisce la vista della celebre Roche Perché, ma le previsioni per domani parlano di cielo sereno.

23/07 PERCHE’ – ILE BONAVENTURE – dintorni del PARC DU BIC, 650 km, 6,30 ore
Giornata memorabile
La nebbia si dirada non appena ci stacchiamo dal molo di Percé, mentre dalla nostra barchetta guardiamo con superiorità le barcone giganti su cui si affollano turisti a decine.
Il giro classico comprende da subito una puntata nei pressi della Rocher Percé, per ammirare da vicino la roccia che si erge davvero imponente a un centinaio di metri dalla costa, oltre che le colonie di uccelli e foche che ne abitano la base.
Due informazioni: fino a qualche anno fa la Rocher era un pezzo unico; poi, uno dei archi è crollato ed è rimasta l’attuale pluri-fotografata conformazione.
Si può raggiungere la Roccia anche a piedi, con la bassa marea, e noi abbiamo visto diverse persone coprire il breve tratto nelle ore in cui è libero dall’acqua; la passeggiata, molto ben segnalata sulle guide, è però fortemente sconsigliata in loco, perché sembra che sia molto pericolosa a causa dei massi che si staccano frequentemente dall’alto.
Tornando alla nostra escursione, la barca compie successivamente il periplo dell’Ile Bonaventure.
L’isola, parco nazionale, ospita una colonia di ben 120.000 sule, oltre ad altri uccelli marini.
Navigando in prossimità della costa, si è praticamente sovrastati dagli uccelli in volo, mentre altri se ne osservano numerosissimi tra gli anfratti della roccia, oltre alle immancabili foche, sdraiate placide e con noncuranza sugli scogli.
Una volta sbarcati sull’Ile Bonaventure, ci incamminiamo per raggiungere la costa opposta, che dista 2,8 km / 45 minuti circa su un sentiero assolutamente agevole.
Già in prossimità della colonia di sule, il rumore si fa assordante, ma lo spettacolo che si presenta non appena si scorge la costa è letteralmente incredibile: decine di migliaia di uccelli bianchissimi ricoprono la scogliera, si alzano eleganti in volo contro un cielo blu cobalto e atterrano “sgomitando”, accudiscono buffissimi piccoli con le piume arruffate, litigano per motivi a noi sconosciuti, si muovono a gruppi in cerca di uno spazio più comodo.
Percorsi delimitati da ringhiere e piccoli osservatori in legno consentono di avvicinare le sule, che sembrano non curarsi più di tanto della nostra presenza, mentre una visuale dall’alto delle colonie è possibile salendo su un paio di torrette d’avvistamento.
Questa è certamente una delle più emozionanti esperienze a “tu per tu” con il mondo animale che io abbia vissuto; è con dispiacere, con il cuore colmo di emozione e la scheda quasi piena di immagini, che riprendiamo il cammino lungo il sentiero che gira intorno all’isola, il cosiddetto Chemin du Roy (4,9 km per circa un’ora e mezza), lungo il quale si può godere di splendide vedute della costa e della Roche Percé, oltre a sostare su minuscole spiaggette da sogno incastonate nella scogliera.
Una volta sulla terraferma, ci attende un lungo percorso in macchina per completare il giro della penisola Gaspesie; ci dispiace non poterci fermare in questa zona, che riserva degli incantevoli paesaggi da cartolina canadese, con il fiume che scorre nella foresta e i pescatori sulle canoe che ne solcano le placide acque.
Ci spingiamo il più in là possibile e ci fermiamo in un motel sulla strada prima che la stanchezza ci travolga nei pressi del Parc National du Bic, altra perla che purtroppo non vediamo.
Tramonto viola sulla foresta

24/07 PARC DU BIC – QUEBEC - WENDAKE, 290 km (3,30 ore)
Sveglia e partenza di buon’ora, anche oggi la giornata sarà particolarmente intensa.
Attraversata la piacevole zona in cui inizia la Gaspesie, arriviamo in tarda mattinata nella città di Quebec.
Quebec è una cittadina vivace, orgogliosa del suo passato e del centro storico che tanto ricorda le cittadine francesi, di cui ha preso anche il colore grigio della pietra con cui è costruita la maggior parte degli edifici storici e qualche abitudine, come quella di mangiare all’aperto su minuscoli tavolini dei ristoranti disposti lungo i marciapiedi; è stata fondata all’inizio del 1600 dall’esploratore Champlain (che qui compare veramente ovunque e in tutte le salse) e si tratta dell’unico centro fortificato posto a nord del Messico; qui effettivamente si ha netta la sensazione della città storica, molto più che nella cugina Montreal, dove le poche strade “antiche” sono circondate dai grattacieli tipici delle metropoli us-style.
Manco a dirlo, il traffico non rappresenta un problema e ci ritroviamo a destinazione con estrema facilità.
Dopo essere caduti nella gradevole “trappolaperturisti” del giro in carrozza (80 dollari, ma Matilde è molto contenta), cominciamo a camminare come disperati tra le vie del centro storico, setacciamo i negozi dei vicoli della città bassa (finalmente all’altezza, il Quebec da questo punto di vista non ci ha offerto granché), ci affacciamo nella Cattedrale di Notre Dame de Quebec e passeggiamo finalmente sulla Dufferin Terrace, uno tra i miei “luoghi obiettivo”. Apro una parentesi: i “luoghi obiettivo” sono per me quelli che ho sempre desiderato visitare, mete sparse per il mondo che prima o poi vorrei vedere; qualche altro esempio´ Prima di tutto le cascate Vittoria; ma anche Iguacu, Rio, Yellowstone, Abu Simbel, Ngorongoro, Milford Sound, Denali Nat.Park, Taj Mahal e… potrei continuare per chissà quanto. Alcuni li ho raggiunti, tanti altri non ancora.
La Dufferin Terrace, dicevo, è uno di questi, Si respira una piacevole atmosfera belle-epoque in questa passeggiata in legno posta ai piedi del maestoso Hotel Chateau Frontenac: qualche carretto dei gelatai, artisti di strada che si esibiscono, la gente che sosta sotto i gazebo in ferro battuto e si gode la vista dall’alto della “Basse-ville”.
Il Chateau Frontenac, poi, vale assolutamente la fama che vanta: costruito nel XIX sulla traccia dei castelli scozzesi e francesi, ha fatto la storia del Quebec e nel 1943 ha ospitato, tra l’altro, l’incontro durante il quale Roosvelt e Churchill decisero le strategie che diedero la svolta alla 2^ guerra mondiale, come lo sbarco in Normandia.
Lo Chateau Frontenac, come ho letto da qualche parte, non è nel cuore del Quebec, ma E’ il cuore del Quebec; condivido in pieno.
L’ho già detto, per esperienza diffidiamo dei percorsi storici nord-americani, quindi non affrontiamo la visita de La Cittadelle e della vicina spianata che fu il campo di battaglia di uno storico scontro tra inglesi e francesi.
La nostra tappa finale è Wendake, villaggio interamente abitato dalla comunità di nativi Huron – Wendat. Wendake è il nome attuale della Huron Wendat Riserve, che una volta occupava territori infinitamente più grandi; oggi Wendake occupa un’area molto limitata e ha un proprio capo, chiamato Grand Chef Konrad Sioui.
Alloggiamo all’Hotel – Musée Premiers Nations, che è costruito totalmente in stile “indiano” ed è veramente affascinante, se non fosse per qualche inquietante pelliccia di animale attaccata alle pareti o posta a ricoprire i cuscini della camera. L’albergo ospita tra l’altro un interessante museo sulla cultura urone, in cui video e suoni aiutano ad avvicinare la totale simbiosi dei nativi americani con la natura.
Dopo la cena, in un ristorante urone naturalmente, a base di bistecca di karibu, l’appuntamento molto atteso è per lo spettacolo di canti e balli dei nativi, che si tiene in un suggestivo anfiteatro all’aperto tra gli alberi. Lo spettacolo è bellissimo e l’atmosfera indimenticabile, ma la stanchezza veramente prorompente.
Lo spettacolo è parte della manifestazione detta “The second meeting” che si svolge in Wendake; non so se si tenga tutti gli anni, il sito di riferimento è www.tourismewendake.com; consigliano di acquistare i biglietti con anticipo, e così abbiamo fatto noi, per poi constatare che la biglietteria fuori dall’anfiteatro è aperta prima dello show e le tribune semi-vuote.
L’aria della notte è pulita e sembra risuonare dei canti degli uroni. Domani si parte.

25/07 WENDAKE – MONTREAL, 255 km (3 ore)
Il tratto di strada che separa Quebec da Montreal ormai ci sembra brevissimo. L’obiettivo è di assistere per l’ultima giornata ad una pazzia canadese: il Dragon Boat Race Festival, una gara di barconi cinesi, accompagnata da una serie di altri eventi, che si tiene sull’Ile Notre Dame, Olympic Basin, proprio in questa giornata.
Purtroppo, però, inspiegabilmente non riusciamo a raggiungere il luogo della manifestazione e, tra una parolaccia e l’altra, decidiamo di ripiegare per un giretto nel centro città, per fissare le ultime immagini del Quebec nella nostra mente.
Il volo con la Klm è ottimo. Quando arriviamo a Milano, fa un caldo bestia.

 

 

 

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