Tèlendos, la Grecia nel cuore!

Approdiamo su una delle più piccole isole dell’Egeo, tutta da scoprire ed amare

Alzi la mano chi aveva mai sentito parlare di Tèlendos prima che manifestassi sul forum la mia intenzione di recarmi a Kàlymnos e da lì effettuare un’escursione in barca a questo isolotto roccioso. Va detto che io stesso lo vedevo come un riempitivo, della serie “giusto perché sono lì e ci si arriva con pochi minuti di navigazione”.
E invece si sarebbe rivelato il fiore all’occhiello di un island hopping di venti giorni fra isole già di loro stupende quali Patmos, Lipsi e appunto Kàlymnos.
Cominciamo doverosamente con una breve connotazione. Distante meno di un chilometro dalla costa occidentale di Kàlymnos, Tèlendos si estende per 5 kmq e coincide in pratica con il Rachi, una montagna di 459 metri che appare sproporzionatamente alta rispetto alla superficie: sulle sue pareti si sviluppa una quantità di vie di arrampicata sulle quali si sbizzarriscono freeclimbers di tutto il mondo.
Nella “cartolina” classica, quella che si ha da Myrtiès e Masouri di Kàlymnos, l’isolotto si presenta in forma pressoché piramidale con una propaggine meridionale pianeggiante lunga circa un chilometro sulla quale si concentra l’unico villaggio.
Gli abitanti sono un centinaio in estate, circa 25 in inverno. Sono presenti una decina di taverne, in massima parte sul mare a parte due o tre immediatamente all’interno: alcune offrono anche camere semplici, ma l’ospitalità è assicurata anche da un paio di strutture ricettive.
E’ presente anche un minimarket, ma… proprio “mini”, del resto commisurato al luogo.
I collegamenti con la dirimpettaia (molo di Myrtiès) sono assicurati dalle 8 alle 24 da battellini che fanno la spola ogni mezzora nei due sensi con traversata che dura 5-6 minuti; prezzo di una corsa due euro.

Da non perdere

Dopo avere ammirato le variazioni della silhouette di Tèlendos durante la passeggiata da Masouri ad Arginontas effettuata il primo giorno e descritta nel resoconto “Kàlymnos, ma quanto sei bella!”, sento la curiosità di approfondire, cosicché trasbordo sull’isolotto nel pomeriggio stesso. Basta un primo giro esplorativo per avvertire un senso di “casa” raramente provato in misura così intensa e già capisco che tornerò qui più volte nel corso di questa ultima settimana ellenica di giugno 2011.
Appena approdati, ci si imbatte in un cartello elencante i nomi di numerose vie di arrampicata, spesso fantasiosi o bizzarri quali “Princess Canyon”, “Pescatore”, “Wing for life”, ma il più spassoso è “Snow White and the Seven Dwarfs” (provate voi a tradurre…) e la relativa direzione. Subito a fianco, ha inizio l’allineamento delle taverne, prima fra tutte Rita dove si è cordialmente accolti dai baffoni sorridenti di Yannis: anche se le altre all’incirca si equivalgono, finirò col fare sosta sempre qui, per pranzare o semplicemente per sedermi in compagnia di una Mythos a lasciarmi scivolare addosso il tempo ammirando il panorama.
Quanto quest’isoletta sia apprezzata - se pur da un pubblico ristretto - lo capisco assistendo più volte alla scena di persone che sbarcano con i bagagli e vengono accolte con strette di mano e abbracci, evidentemente frequentatori assidui che ritornano.
Ma quale sarà l’incantesimo che attira la gente su questo sgraziato scoglio sperduto nell’Egeo, visto fino a due giorni fa solo come un nome sulle mappe?
Dirigendo verso destra (nord) si incontrano quasi subito le rovine di un’antica basilica bizantina e un tratto di costa di quasi un chilometro in cui la spiaggia sabbiosa si alterna con scogli e calette riparate: la penultima, Paradise Beach, è considerata - anche se non ufficialmente - la spiaggia dei naturisti e dopo quella di Mikri Potha il sentiero si fa impervio prendendo quota per raggiungere la base delle vie di arrampicata.
A sinistra del molo, nel passaggio fra due taverne, un cartello indirizza a Hochlakas, descritta come la più bella spiaggia dell’isola: una decina di minuti di cammino, una breve salita ed eccola comparire in basso, accessibile scendendo lungo una gradinatura. Costituita di sabbia scura ed estesa su un arco di un centinaio di metri, non discuto che sia bella, ma personalmente ho trovato più scenografica quella adiacente di Papa, separata da uno sperone roccioso: gioca probabilmente il fatto che Hochlakas sia sempre affollata (per quanto l’aggettivo possa essere consono a un’isola semisconosciuta), mentre Papa, di più difficile accesso - via mare o da un tratto su scogli dalla vicina - è del tutto deserta.
La sommità della scarpata che sovrasta Papa, raggiunta in pochi minuti, è però il luogo deputato per ammirare un tramonto di rara bellezza: gli ultimi raggi del sole calante sembrano incendiare le falesie che racchiudono le due spiagge, evidenziando inoltre una curiosa serie di pinnacoli rocciosi sul pendio meridionale del Rachi.
Vista la posizione nella quale Kàlymnos e Tèlendos si fronteggiano, i tramonti sono in effetti magnifici da ciascuna delle due isole verso la dirimpettaia: da Masouri e Myrtiès l’isolotto si presenta come una piramide totalmente nera circondata da una cornice rossiccia, mentre da Tèlendos - meglio se seduti a un tavolino sorseggiando un ouzo - le cavità e le fenditure su cui salgono le vie di arrampicata di Kàlymnos danno l’effetto di infiammarsi di luce propria.
Ma tutta la propaggine meridionale merita di essere esplorata: alta poche decine di metri sul livello del mare, è un susseguirsi di spunti di interesse, con elevate probablità di essere da soli a goderseli. Si segue il sentiero che prosegue oltre le ultime case di pescatori prendendo a riferimento, sull’orlo della falesia, la cappelletta più scheletrica che si possa immaginare, in pratica un traliccio azzurro di un paio di metri sormontato da una campana: da lì, anche se sembra impossibile vincere una parete di roccia pressoché verticale, una piccola croce bianca di pietra segnala l’inizio di una ripida scalinata che sembra sospesa nell’aria e scende alla cappella di Agios Georgios, in posizione incredibile incastonata com’è nella scogliera a livello del mare. Uno dei luoghi più sorprendenti in cui mi sia imbattuto nelle isole greche!
Risaliti alla campana, a breve distanza si incontra un cartello “Early Christian Necropolis” che segnala un’area di (appunto) antiche sepolture cristiane in pietra, alcune discretamente conservate, altre ridotte a ruderi, per lo più a forma di semibotte.
Da qui è già ben visibile Pnigmenos, a mio parere la spiaggia più bella dell’isola che si raggiunge in pochi minuti: minuscola (non più di una ventina di metri di ampiezza), di sabbia chiara, mare… indescrivibile, è racchiusa in una stretta insenatura formata da due lingue rocciose. Ci sono solo i ruderi di un muretto, utile per sedersi o posare gli abiti, e un’unica tamerice che può fare ombra a non più di 3 o 4 persone, quindi… arrivare presto!
Dopo un bagno dal quale non si riemergerebbe mai, è molto piacevole passeggiare senza meta (tranquilli, è impossibile perdersi!) fra piccoli promontori, calette appartate, scogli dalle forme particolari. Interessante anche la vegetazione, in un’alternanza di brughiera e basse conifere, ma anche curiose rocce colorate le cui tonalità virano fra il giallo, il rosa, l’arancione e il rosso.
Il tutto contribuisce a una varietà di prospettive che è sorprendente in un’isola di dimensioni così ridotte: un gioiello da conoscere e amare, veramente.

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