Ruanda e Uganda: self drive e amenità - Parte terza

Dopo infinite vicissitudini, ma soprattutto esperienze indimenticabili, ha termine l’avventuroso viaggio di Claudio e Anna!

Eccoci finalmente alla conclusione della memorabile esperienza africana di Claudio e Anna. I due precedenti capitoli sono già presenti su questo stesso sito.
Itinerario
Il nuovo giorno ci accoglie con la pioggia, decidiamo di proseguire ma perdiamo il primo traghetto. Passati con quello delle 11,00 attraversiamo la parte nord del parco senza particolari avvistamenti se non una mandria di bufali ferma in coda.
Fino al bivio, una 50ina di km prima di Gulu ottimo asfalto, poi sterrato pieno buche piuttosto antipatico. Arrivati in città, birra e sosta ristoratrice, un po’ di spesa e proseguiamo verso Kitgum con l’intenzione di pernottare lì e raggiungere il Kidepo la mattina successiva di buon ora. Illusione.
Percorsi 15 km un botto e la macchina sbanda. Mi fermo, è scoppiata una gomma, esattamente quella sostituita. Non mi arrabbio nemmeno, mi limito solo a guardarla quando si ferma un furgoncino e ne esce un signore sulla 40ina, distinto, una somiglianza con Denzel Washington, il quale in ottimo inglese mi chiede: -Need assistance?- No thanks, just a flat tyre. -Do you have lift?- Of course... not very good, -Mine is ok-. Esce dal furgone, tira fuori un crick gemello del mio, si butta sotto la macchina camicia bianca e tutto, alza la macchina, smonta la ruota, monta quella di scorta, la quale fra l’altro era pure semisgonfia, sì quella riparata a Paraa, si riprende i suoi attrezzi, ci consiglia “vivamente” di rientrare a Gulu, ci spiega dove andare a farla riparare e conclude con: Scusate, mi fermerei volentieri a fare quattro chiacchiere con voi ma ho un appuntamento a Kitgum e vado di fretta. Tanti saluti, stretta di mano. Salta sul furgone e sparisce in una nuvola di polvere. Ancora oggi mi chiedo se l’ho sognato. That’s Afrika.
A Gulu scopriamo che la gomma ha uno squarcio di 20 cm, irreparabile. Ricerca di un usato sicuro, ma l’unica cosa sicura che troviamo è che è molto usato. Raggiungiamo il baracchino vendita pneumatici.
Moses? Abbiamo un problema. Dobbiamo comprare uno pneumatico, ti avverto perché è ovvio che te lo trattengo dal saldo, sono 450,000,00 Ugx, (una follia), dell’usato ne vogliono 300mila ed è brutto. (bastardo, ne costava un quarto ma era veramente pessimo).
A Kampala costano meno.
Immagino, ma io sono a Gulu.
Vieni a Kampala a prenderlo. (A volte la logica afrikana fa sorridere dopo la voglia di omicidio.700 km andata ritorno due giorni).
In una mezzora e quattro porconi lo convinco, gli passo il gommista per un’altra mezzora di contrattazione. Chiudono a 425mila e altra serie di viaggi al bancomat per noi.
E’ sera, ci fermiamo all’Happy Nest Guest House, 35.000, 00 Ugx. Dignitosa e consigliata.
Forti di un battistrada dirompente ripartiamo la mattina dopo. A dire il vero era già da un po’ che l’auto mi sembrava rumorosa, ma nel momento in cui sembra un elicottero in decollo con contorno di lamiere che sbattono mi fermo. Abbiamo perso la marmitta! La lego meglio possibile e con fragore arriviamo in città. Il benzinaio meccanico, unico con la buca, ci mostra la rottura netta all’uscita del motore. Riparare subito, se non morite asfissiati rischiate d’incendiarvi e ci accompagna dal saldatore.
L’officina specializzata è a bordo strada nella via dei saldatori che sarà la nostra casa a Kitgum. Ispezione sotto l’auto, soliti sguardi che sottintendono: lavoraccio, difficile, guaio, invasione delle locuste, pioggia di fuoco, ovviamente Te lo posso fare. Quanto ci vorrà? Mezz’ora, 40 minuti.
Allo scadere della mezz’ora l’omino è comodamente seduto a fumare. Chiedo lumi. Reperimento bombola del gas. Ah! All’arrivo della stessa si infila sotto e scopro che salda direttamente con la fiamma usando elettrodi ripuliti come materiale a saldare. Ci sono almeno 70 lt di benzina nel serbatoio e tutte le nostre cose all’interno. Timidamente gli esterno l’angustia. No problem! Perchè faccio certe domande? Dico comunque ad Anna di allontanarsi e mi piazzo nel centro della rotonda con l’auto in vista.
Si può dire tutto degli africani ma non che non siano abili riparatori, ci fa un lavoro con i controfiocchi per solo 75.000, Ugx, appena arrivo a casa aumento le tariffe, in circa 3 ore.
Forse ce la facciamo, il Kidepo dista da qui 139 km. Percorriamo la prima parte veloci, la pista è a tratti fangosa con grosse pozzanghere ma nel complesso buona e mi chiedo se avessero un fondo di verità tutte le pessime notizie avute. Lo scopro presto. A metà percorso il fondo si trasforma in una pista di pattinaggio. L’argilla dura e bagnata in superficie ha la stessa tenuta del sapone. Inizia una serie di testa coda, è praticamente impossibile mantenere una direzione retta. La “carrozzabile”, fatta a schiena d’asino, è infossata sui due lati risalendo però dolcemente verso l’esterno dove il bush compatta tutto, in questo modo si è venuto a formare una specie di panettoncino paracolpi. Questo, se da un lato rende praticamente impossibile uscire fuori strada, regala gioie immense quando, senza scampo, si finisce dentro con le due ruote laterali. Notare che si scivola di lato addirittura da fermi e spessissimo è un fiume di fango. Percorriamo lunghi tratti con la ruota anteriore dentro ed il resto dell’auto di traverso, piegati in costa come si vede nei film, solo che la mia non era una scelta. La tecnica, ci metto un po’ ma ci arrivo, consiste nello sfruttare il terreno laterale sterzandoci contro senza paura con buona velocità utilizzando il rimbalzo per uscirne e riguadagnare il centro della via. Spesso si rimbalza e ci si infossa dalla parte opposta, il pericolo è esagerare e ribaltarsi, ipotesi assolutamente non remota con un fuoristrada alto. Anna si annichilisce, rimbalziamo a destra e sinistra come una palla da ping pong ed ogni tanto ci giriamo di 180 gradi. Ma procediamo. Alterniamo saponata a tratti di fango profondo dove i due scavati solchi centrali, frutto del difficile passaggio di chissà quali mezzi, costituiscono un binario dal quale si esce solo in testa coda. A volte è talmente fondo che tocchiamo sotto.
Dopo qualche tratto migliore troviamo una salita, estremamente fangosa, con profondi solchi pieni di melma a testimoniare i problemi avuti da chi ci ha preceduto, ciliegina sulla torta, un camion di traverso al culmine occupante oltre metà della carreggiata. Dico ad Anna tieniti e chiudi gli occhi, chi si ferma è perduto. Retromarcia fino a che le ruote non trovano un terreno più ruvido, ridotte, blocco del differenziale e mi lancio. La macchina ha i cavalli e ruggisce, il volante è come non averlo ma ho preso il solco giusto, se ci fermassimo qui minimo scivoliamo indietro fino a Kitgum, sculettiamo come una ballerina del Crazy Horse, ci apriamo la strada come un motoscafo, non ci schiantiamo contro il camion e passiamo, poche centinaia di metri ma intensi. L’uscita è su sapone in piano, facciamo almeno un km di traverso per finire, come al solito, nel fosso. Raggiunto un fondo migliore ci fermiamo, Anna mi guarda serafica e dice: Mi scappa la pipì! I love you!
Ad oltre tre quarti di percorso c’è un altra trappola. Da sinistra si immette una strada, ampia curva a destra per noi, formando nell’intersecazione uno slargo piuttosto esteso. Un putiferio di fenditure piene di fanghiglia, una vera e propria palude dalla consistenza e profondità impossibili da verificare. Dentro a chiodo cercando di tagliare la curva all’interno, al centro non mi fido. Finiamo contro il bordo e perdiamo velocità, stavolta ci restiamo penso. Il ciglio è solo terreno in piano, è la pista che si è scavata sotto il livello del suolo formando una sorta di gradino sul quale è chimera salire, le ruote però mordono un filo di lato e ci muoviamo a centimetri. Per capire come siano girate apro il finestrino e guido con il busto fuori, anche perché il parabrezza è ormai ricoperto da uno strato di melma, vi lascio immaginare cosa mi arriva addosso ma è una mossa vincente. Punto i battistrada contro il bordo, do gas e inizio a scavare un pezzo di strada nuova erodendo ulteriormente il terreno. Sterrando la macchina procede e lentamente riusciamo a superare il punto critico della curva, un paio di centinaia di metri belli tosti! Nel rettilineo che segue usiamo anche i remi ed in qualche modo ne usciamo, un po’ infangati ma soddisfatti.
L’ultima parte di strada è decisamente migliore, a tratti anche buona, mi fermo persino a fare due foto.
Quando raggiungiamo l’entrata del parco con annesso ufficio rangers ci sembra di aver raggiunto Shangri La. Ce l’abbiamo fatta! Tempo di percorrenza 3 ore, neanche male per un Muzungu. 35,00 Usd a testa per 24 ore.

Il KIDEPO National Park non può vantare la quantità di fauna dei grandi parchi africani ma è una piccola valle dell’Eden, un tratto di savana punteggiata di acacie e kopye, chiusa fra due cordoni di montagne. Paesaggisticamente è una meraviglia, si respira veramente un’aria leggera e frizzante da “out of the world”.
Dal cancello al campo ci sono ancora circa una 15/20 di km, non ricordo di preciso, appena prima della meta il rio Naluusi taglia la via. Il guado non pare essere problematico, dopo l’Islanda non mi spaventano più molto e mi ci infilo deciso senza ridotte. Mai rilassarsi, ci infossiamo nell’acqua per tutta l’altezza delle ruote e la corrente non è così modesta come appariva da riva. Perdiamo subito giri motore ma, con un po’ di fortuna e di prontezza di riflessi, dando gas a manetta usciamo anche da lì, ce lo dobbiamo conquistare fino all’ultimo questo benedetto Kidepo.
Nota all’Edt ed alle voci circolanti: Escluse le difficoltà oggettive per raggiungere il parco nella stagione delle piogge, ns estate, non sussistono pericoli lungo la strada Gulu, Kitgum, Kidepo. La situazione è più che tranquilla. Da questa parte i Karamojong sono, permettetemi il termine, “addomesticati” e, si spera a lungo, i ribelli solo un pessimo ricordo.
Raggiungiamo il villaggio centro parco. Qui l’atmosfera è molto rilassata, uffici basici, c’è una sala dove si può cucinare, acquistare qualche bibita, forse anche farsi preparare dei pasti. Oltre al Lodge, in bella posizione su di una collinetta vicina, ci sono dei bungalow e possibilità di campeggio. Noi chiediamo di accamparci presso un wild campsite, non ne abbiamo avuto ancora abbastanza.
Mentre ci strafoghiamo di meritatissime birre veniamo raggiunti da Sam, un ragazzone alto e robusto con fucile a tracolla, il quale sarà la nostra, obbligatoria, guida e guardia del corpo. Educato, colto, disponibile, un ragazzo d’oro, si farà in quattro senza mai chiedere nulla, nemmeno la tariffa del game drive o il pagamento del campsite.
Il campeggio è situato a qualche km dal villaggio su di un poggio a dominare la savana sottostante. La percezione di spazio è immensa, la sensazione di libertà intensa. Attorno, il bush è punteggiato da tranquille mandrie di bufali e kob, gruppi di elefanti di tanto in tanto attraversano la pianura, una atmosfera idilliaca guastata solo da qualche scroscio di pioggia.
Riusciamo a vedere uno dei pochi tramonti ugandesi, l’illusione dura poco, di notte si aprono le cateratte di Giove Pluvio.
Il sole mattutino lascia ben sperare, partiamo quindi per un game drive nel nord del parco dopo aver fotografato un paio di erbivori quasi direttamente dalla tenda.
Le piogge della notte hanno fatto il loro effetto, la pista, buona il giorno prima, è un ammasso di fango ed al fiume abbiamo la sorpresa.
Il potente veicolo del lodge giace bloccato in mezzo all’acqua. Il fiume Naluusi è pressoché raddoppiato e nella parte centrale il livello dell’acqua ha raggiunto i passeggeri sul cassone infradiciandoli tutti. Seguiamo le operazioni di soccorso fino a che la via è libera, uno alla volta tutti gli autisti presenti decidono di rinunciare all’attraversamento, noi li seguiamo a ruota con non poca preoccupazione, abbiamo qualche giorno cuscinetto ma non possiamo restare bloccati qui a lungo. Africanamente affrontiamo il problema al bar. Inshallah!
Non avendo nulla da fare, lasciamo il buon Sam in famiglia e ce ne torniamo al campo a goderci il silenzio, lo spazio ed il tempo lo occupiamo in faccende domestiche.
Al pomeriggio è vero e proprio diluvio, sul tardi ci spostiamo al villaggio per vedere se fosse possibile fare un giro serale in cerca dei famosi leoni e riprendere Sam, il quale non vuole sentire ragioni: di notte non potete stare senza protezione, ok capo! Arriva un gruppo con un autista sconvolto, molto di suo ed un po’ dalla situazione, il quale ci mostra il video girato dall’interno del land cruiser al guado del fiume dove l’acqua sommerge completamente l’auto. I got a big risk! Dalle facce dei tuoi clienti direi proprio di sì.
Migliorato un po’ il meteo ci uniamo a due ragazzi, un infermiere cooperante italiano che simpaticamente ci illustrerà per filo e per segno come si muore d’ebola, e la sua ragazza portoghese, per un giro ai kopyes. Simpatici tutti e due, gli mando un caloroso saluto. Saremo fortunati, uno splendido esemplare di maschio sonnecchia dominando la pianura. Non distante ne troviamo un’altro in ottima posizione. Lui non gradisce molto il disturbo e ce lo fa capire.
Rientriamo molto soddisfatti mentre altri nuvoloni si addensano all’orizzonte. Come sarà il rio domani?
Ci svegliamo con un bel sole. Decidiamo di testare il fiume subito con il bello senza aspettare i temporali delle ore più calde. A malincuore significa che se la via è buona si attraversa e si va via. Chiediamo a Sam se ci può portare presso un villaggio Karamoja. Sono situati all’esterno del parco, oltre il cancello d’ingresso e, per non farci fare la strada due volte il nostro ranger si offre di tornare con un mototaxy che ovviamente gli spesiamo.
L’alternativa sarebbe attraversare la Karamojaland a est, non c’è guado ma strade pessime. La situazione Karamoja? Ovviamente no problem, ma se fossi in voi, un’auto, due sole persone eviterei. Consiglio accettato.
Facciamo ancora un tentativo ai Kopyes per un eventuale leone, che troviamo ma si dilegua subito nel bush ed in breve siamo al fiume. Non è terribile come il giorno precedente ma ho imparato a rispettarlo, ridotte, blocco differenziale e traiettoria suggerita da Sam. Con l’acqua oltre il cofano ed a metà portiera, una buona dose d’apprensione e passiamo.

KARAMAJONG.
Questo popolo fiero e battagliero di ladri di bestiame vive ora in uno stato d’estrema indigenza. Da questa parte dell’Uganda sono molto tranquilli, disarmati, non costituiscono più un problema. Ci accolgono molto calorosamente e passiamo qualche ora in loro compagnia.
I Karamojong non sono etnicamente d’origine Bantu come la maggioranza degli ugandesi ma di ceppo nilotico, sono infatti strettamente imparentati con i Maasai con i quali condividono un certo retaggio culturale. Di questa affinità la danza a saltelli che ci improvvisano è una chiara testimonianza.
Lasciamo un discreto contributo per la costruzione di un posto di primo soccorso, inesistente nel raggio di km e salutiamo il nostro Sam con una lauta meritatissima mancia, questo per dire che non sempre sono la solita crosta, e ripartiamo direzione Kitgum più rilassati vista la buona prova dell’andata, la Kidepo road non ci spaventa più. Ultime parole famose. Dal gate, lungo la parte un poco più collinare il fondo è buono ma procedendo verso la pianura gli effetti delle piogge intense del giorno prima si fanno notare. Veri e propri allagamenti nel bush circostante sovente debordano lungo la pista formando enormi pozzanghere o piccoli laghi, quando il terreno cambia passando dalla terra all’argilla compatta iniziamo ad arrancare nel fango, oltretutto i passaggi del giorno prima hanno scavato vere e proprie fosse, solchi profondi dai quali spesso è impossibile uscire ed una volta incanalati all’interno si viaggia come in un bob, raschiando a volte sotto la macchina con i rischi che ne conseguono. Dove il terreno è uniforme invece si scivola in modo incredibile. Procediamo lentissimi. Il lungo rettilineo verso l’innesto a ipsilon con l’altra pista è messo veramente male, i binari nascosti nel fango non permettono di valutare traiettorie ed all’incrocio troviamo un camion, di quelli adibiti al trasporto persone ammassate sul cassone, bloccato al centro di un vero e proprio lago di melma. Affronto il passaggio molto gagliardamente ma è come infilarsi nella colla, le ruote iniziano a slittare e non riusciamo ad uscire del tutto, inesorabilmente ci blocchiamo. Provo due manovre avanti indietro senza nessun esito. Come si dice in gergo: we got stuck! Scendo dall’auto e mi trovo in 30 cm abbondanti di poltiglia. La mia autostima precipita. La vedo dura, penso, ma già l’autista e gli occupanti dell’autocarro stanno arrivando a darmi una spinta, che culo, ripenso! In pochi minuti siamo fuori, mi fermo in sicurezza e vado a ricambiare il favore ma l’omino mi fa capire inequivocabilmente che ringrazia, tuttavia gradirebbe assai non avermi fra i marroni. Ringrazio a mia volta e mi allontano pensando a come, quando e se, un mezzo del genere possa arrivare a destinazione. Proseguiamo fra testa coda, quasi impantanamenti, infossamenti laterali, insomma tutti i numeri dell’andata moltiplicato per otto. A rilento avanziamo fino al rettilineo del secondo grosso intoppo, quello con autocarro di traverso per intenderci. Qui la situazione è veramente disastrata, sul terreno ci sono evidenti segni di tribolazioni, sembra ci sia stato un bombardamento. Il solco, nel quale già da un po’ ero infilato con le ruote, porta dritto verso il camioncino, provo saltare di lato sterzando ma si scivola e non è possibile cambiare direzione. Per passare devo assolutamente portarmi tutto sul lato sinistro della strada. Inizio così una serie di retromarce e tentativi di balzare a mancina lanciandomi sempre più veloce fra sobbalzi e scivolate. Prova e riprova alla fine la macchina parzialmente si gira, le ruote anteriori escono solo per infossarsi due solchi più a lato raggiungendo il notevole risultato di avere il mezzo in diagonale e non riuscire più a manovrare in retromarcia. Tento di raddrizzare in qualche modo cercando di fare basculare l’auto avanti ed indietro giocando con le marce, senza grande successo. Così facendo scivolo anche piano piano verso il camion fermo. C’è poco da fare, bisogna scavare. A mani nude tento di aprire un passaggio alle ruote, dopo vari tentativi in qualche modo ci riesco e ci giriamo fino ad essere completamente trasversali, ma anche sempre più pericolosamente vicini all’ostacolo, se lo tocchiamo siamo fatti, servirebbe l’autogru per muoverci. Ovviamente piove. Siamo al punto dove la pista inizia leggermente a discendere e ad ogni slittamento delle ruote scivoliamo inesorabilmente sempre più vicini all’autocarro fermo. Stavolta ci siamo, la vedo veramente dura uscire dal guaio, il seguito è degno di Stanlio ed Ollio. Ai lati ci sono delle capanne e veniamo raggiunti da un omino anziano e qualche ragazzino, tutti molto divertiti dallo spettacolo. Scavo ancora, strappo una quantità di bush e lo posiziono sotto le ruote in modo che abbiano un minimo di presa, cerco di arginare lo scivolamento a valle con materiale di fortuna. Mi rimetto alla guida, con una serie di numeri, non so bene come, riesco a guadagnare un paio di metri ma mi trovo ormai ad uno solo dal camion. Scendo dall’auto e scivolo finendo in pieno nel fango suscitando l’ilarità dei presenti. Anna si incazza come una biscia e, stranamente per lei, gli caccia quattro urli. Questi capiscono che non è il caso e vengono pure a darci una mano, il gruppo nel frattempo si ingrossato.
A bordo strada il terreno sale con una gobbetta aprendosi su di un piano compatto ricoperto d’erba dal quale, una volta raggiunto, si potrebbe ridiscendere con un breve tratto fuoristrada a valle dell’ostacolo, evidenti tracce testimoniano l’utilizzo di questa soluzione da parte di qualche altro malcapitato. Visto che perpendicolari alla via non riusciremo mai più a riposizionarci, a meno di un intervento Divino, questa pare l’unica soluzione vagamente percorribile.
Inguaribile ottimista, non ci muoviamo di un millimetro e vorrei pure andare in salita superando un gradino, mi vedo già in tenda a bordo strada, cibo e acqua ne abbiamo.
Con l’aiuto dei locali scaviamo ed estirpiamo ulteriore bush cercando di aprire un passaggio al meglio possibile poi tutti dietro a spingere. Giocando di retro e marcia avanti faccio dondolare la macchina e raggiunto il massimo slancio ottenibile do gas avanti tutta alla disperata, se solo le ruote riuscissero a raggiungere il terreno erboso e fare presa siamo a cavallo. Con un sobbalzo mostruoso salto letteralmente contro il bordo, l’auto si impenna, vedo il cielo, resto un attimo fermo sentendo il motore che arranca, ce la fa mi dico, faccio due carezzine al volante, le prometto di lucidarla con il polish, invece inesorabilmente scivolo indietro, sento le ruote slittare, un gorgoglio e silenzio. Le ruote davanti hanno preso si l’erba ma il retro è sprofondato nel fango ed ora la toyota giace impennata ostruendo completamente il passaggio per chiunque. Siamo al disastro completo, sono completamente fradicio, gli scarponi pesano 4 kg l’uno, sono una maschera di fango, naturalmente piove, maledetto Allen! Se domani, perchè oggi dubito di vedere un qualsiasi mezzo, qualcuno vuole passare in qualche modo mi deve spostare, cerco il lato positivo, inizio comunque a guardarmi in giro per individuare un luogo acconcio a montare la tenda. No, non ci diamo per vinti. Chiedo ad uno dei ragazzini, ci vuole un po’ a capirsi, un attrezzo atto a scavare. Il fondo posteriore dell’auto tocca terra, l’unica soluzione è liberarlo dalla stessa. Mi arriva una specie di zappa proveniente direttamente dall’età del ferro e, con sconcerto, scopro che questa non penetra nell’argilla, la quale pare alla vista morbida ed elastica ma è terribilmente compatta. Non solo, una volta scavata a costo di sudore e sangue resta attaccata alla zappa come se fosse incollata, bisogna staccarla con le mani, sembra una comica per davvero. Scaviamo sotto l’auto, ai lati attorno alle ruote, sdraiati immersi nel fango tentando di andare più a fondo possibile, ma è una impresa improba, non c’è mezzo di muoversi, ogni tentativo è vano e peggiora la situazione. Sacrifico la legna di Bulima cercando di creare un appoggio, nulla da fare. Tentiamo anche di sollevare il più possibile l’auto con il crick e riempire sotto gli pneumatici con qualcosa che faccia presa, peggio che andar di notte: le ruote girano sempre a vuoto. Nel frattempo il gruppo si è ulteriormente ingrandito, la fortuna ha voluto che ci infossassimo vicino ad un villaggio, noi vediamo due capanne ma ce ne devono essere altre. Chiedo al vecchio se non ci fosse un aiuto un po’ più robusto oltre ai ragazzini, volonterosi sì, ma 30 kg l’uno. Lui mi risponde di sì, ma mica si lavora gratis. Il nonnetto! Ovviamente vista la situazione non discuto, è già piuttosto tardi e lo ammetto: siamo quasi disperati, ma non molliamo. Partono le staffette ed arrivano dei ragazzi un po’ più grandi accompagnati da un po’ di sciure, le quali hanno un’idea geniale. Scavano un canale di scolo, confesso la zappa in mano loro è un’altra cosa, verso la discesa, aprendolo in un nugolo di canaletti in modo da far defluire l’acqua ed il fango più morbido da dove c’è l’auto, ottenendo una vista migliore, meno poltiglia, ed un zona “lavoro” più remunerativa, una vera e propria bonifica. Con molte braccia scaviamo, riempiamo, compattiamo, scivolo e cado almeno una dozzina di volte, loro a piedi nudi sono molto più stabili, vorrei togliere gli scarponi ma è impossibile, mi guardo allo specchietto e sembro il Golem! Fa freddo ma non lo sento, non ho più unghie ed ogni tanto mi tolgo il fango dalle mutande, non verranno mai più pulite, nemmeno con la varechina. Dopo un tempo indeterminato riteniamo di essere pronti, ormai c’è almeno una trentina di persone compreso qualche adulto. Mi siedo alla guida, mi consulto con il vecchio, non capiamo reciprocamente una parola ma siamo d’accordo, poi tutti a spingere: ce la possiamo fare! Non ci posso credere ma un centimetro dopo l’altro, in una sorta di apnea, il fuoristrada si eleva fino a svettare quel mezzo metro sopra il livello del pantano! Festa, urli, hurrà, pacche sulle spalle, strette di mano e cotillon, diamo fondo alle scorte di biscotti, cracker e tutto quanto a portata di mano, mi ricordo di avere una macchina fotografica e scatto l’unica foto del disastro immortalando il simpatico e furbetto nonnetto, a priori mi sarebbe piaciuto avere un ricordo della toyota impennata ma nel marasma non mi era passata nemmeno nell’anticamera del cervello l’esistenza stessa della fotocamera.
Vorrei prendere ancora qualche foto ma siamo circondati da tutti, ovviamente vogliono la mancia. Non potendo discernere fra chi è arrivato a cose fatte e chi si è fatto in quattro decidiamo di remunerare il nonno complessivamente, il quale gode indubbiamente di una certa autorità, sicuramente è il più sveglio. Non è un’idea furba, avremmo dovuto appartarci ma siamo veramente stremati e non ci pensiamo. Alla vista dei soldi gli animi si eccitano e si crea una calca vociante. Anche con piacere distribuiamo un po’ di qua e di là, tuttavia siamo costretti ad allontanarci, non che temessimo per noi stessi, ma perché non si azzuffassero fra di loro. Le condizioni di vita da queste parti sono veramente dure, bisogna vedere per capire, siamo dispiaciuti dell’epilogo ma non giudichiamo male, sono stati meravigliosi. Scendiamo dalla discesa e raggiunta la pista per lo slancio scivoliamo di lato per almeno un km, finendo con un testa coda, ormai non li conto più, ciò che conta è che siamo in movimento, il sole sta calando e siamo si e no a metà strada.
Percorsi al massimo una decina di km troviamo un fuoristrada di traverso con le ruote anteriori nel consono fosso. Secondo ed unico veicolo incontrato oggi incluso l’autocarro impantanato. Ci fermiamo un paio di centinaia di mt più avanti, minimo spazio frenata per una velocità di circa 15/20 km all’ora e li raggiungo a piedi. Need assistance? Porca paletta sono italiani! Una cooperante ed una coppia di amici, si sono girati e non riescono più a muoversi. Mi riprometto subito di non lasciarli proseguire e gli spiego per bene a che distanza sono dal Kidepo ed a cosa vanno incontro, vista l’ora non mi pare proprio il caso. Non ci mettono molto a decidere di tornare verso Kitgum in carovana con noi, così possiamo cercare di muovere la loro land orientandola con il muso verso la città. L’inversione ad U qui non è prevista. Ormai ho fatto la mano al fosso e, con l’aiuto di quattro persone a spingere, un po’ di manovre ed imprecazioni, rimettiamo il fuoristrada al centro della pista. Sono contento di avere compagnia, in queste condizioni abbiamo consumato una quantità di carburante enorme, molto al di là della mia peggiore previsione e l’indicatore del livello è pericolosamente orientato verso il basso. Come se un pilota di formula uno dopo una entusiasmante gara finisse a secco poco prima del traguardo, sarebbe il colmo ci fermassimo così. La pista prosegue pessima, allagata e scivolosa ma dritta, fortunatamente senza particolari ostacoli. La ragazza al volante è un po’ insicura, probabilmente un po’ agitata dall’esperienza precedente, si bloccherà ancora una volta, ma nel complesso se la cava bene. Nel frattempo è sceso il buio a rendere ancora più difficile il tutto, per buona sorte non c’è un anima per strada, sarebbe quasi impossibile scansare dei pedoni, scuri, su fondo nero, nell’oscurità più assoluta, con un controllo della guida così precario, ci fermiamo anche spesso a pulire i fari ricoperti di fango. Ciò nonostante, lentamente, km dopo km guadagniamo terreno. All’accendersi della spia della riserva inizio a pregare. L’entrata nella buia Kitgum, non c’è luce elettrica in città, è una liberazione, nel serbatoio si e no un paio di lt. Cerchiamo un hotel cosa non facile nel cuore della notte ugandese, sono ben le nove, addirittura senza valutarne il costo. Lo troviamo solo facendoci accompagnare da un moto taxy. C’è la doccia calda? Si? Va bene! Nonostante il fango appiccicato in ogni dove mi tiri fastidiosamente la pelle, la prima sosta è al bar!
Questa birra ce la siamo proprio meritata, anche l’altra direi e pure quella dopo!
Hotel Fuglis, budget accomodation 100,00 Usd la stanza più breakfast. Anonimo ma confortevole.
Un saluto ai simpatici ed intraprendenti amici napoletani.

La mattina sveglia libera e riassestamento auto, lavaggio scarponi e resto. I calzettoni tento ecologicamente di bruciarli ma è impossibile, allora li seppellisco!
All’interno della toyota c’è fango ovunque, non vi dico nel lato guida e si sono staccate varie mascherine di plastica. All’inventario manca una freccia, qualche spoilerino, un paio di paraschizzi. Un fanale è completamente staccato, il bull bar si muove su e giù, la predella lato guidatore se ne sta mestamente in verticale, dulcis in fundo la marmitta è di nuovo rotta, e ti pareva! Dopo lavaggio a secchiate torniamo dal nostro amico saldatore, il quale già si stava fregando le mani. Nei 20 minuti suoi, due ore nostre di riparazione ci alterniamo io ed Anna per fare un po’ di spesa e qualche foto, c’è un po’ di mercato, un po’ più di movimento.
A Gulu e Kitgum non c’è molto da vedere, sono le città dove la guerra civile ha causato i danni, sopratutto umani, maggiori, ora con fatica si stanno riprendendo ed il futuro è visto con ottimismo. Qui sono presenti tutte le associazioni umanitarie esistenti al mondo, basta semplicemente fissare una strada per vedere passare un pick up con l’insegna dell’Onu o di MSF.
Personalmente avrei voluto andare alla missione di Padre Tarcisio Colombo, la quale dovrebbe trovarsi fra Gulu e Kitgum, le informazioni reperite riguardo all’esatta collocazione sono piuttosto vaghe. A noi il tempo, maledetto tempo occidentale, stringe e non possiamo dedicarci alla ricerca, sono sicuro che chiedendo in città non sarebbe stato difficile.
Padre Colombo si occupa del recupero dei bambini soldato ed ha collaborato con Luca Zingaretti nella realizzazione del documentario: Gulu, una guerra dimenticata, con il patrocinio dell’Amref.
E’ già pomeriggio quando lasciamo la città. Alla fine della fiera siamo in anticipo per tornare a Kampala ed in ritardo per poter andare verso la bella zona del monte Elgon e delle Sipa Falls così decidiamo di fermarci più o meno a metà strada al Ziwa Rhino Sanctuary.
Ripassiamo quindi per Gulu e da qui prendiamo la strada diretta per la capitale pensando procedere veloci, sbagliavamo. La strada, battutissima da enormi e lentissimi camion, è una specie di videogioco dove lo scopo è sopravivere e possibilmente non uccidere nessuno.
Facciamo una sosta appena dopo il ponte sul Nilo presso le Karuma falls, le quali in realtà sono rapide. Parcheggiamo a lato della strada nell’unico spazio possibile e andiamo sul ponte a fare due foto.
Tempo cinque minuti e siamo indietro. Troviamo due militari ad aspettarci con aria inquisitoria. Calma, dico ad Anna, questi cercano rogna. Infatti uno di essi inizia una filippica su come ci fossimo permessi di scendere e fotografare, chi siamo, dove, come e perchè. Con la mia migliore aria da scemo ribatto che sono un turista e quello faccio. Lui, per inciso, mi indica le mostrine, mi dice che è un militare scelto mica un poliziotto qualunque, che la vita è dura, deve fare il suo dovere, un tot di amenità in ordine sparso e sibila un chiaro: I have the gun, muovendo il fucile con la spalla, poi allunga una mano, give me your camera, afferrandola senza tanti complimenti! Ho capito dove vuole arrivare ma seguo la procedura nonostante il desiderio di cacciargli un cazzotto del modello torna a rifare la carta d’identità. Ovviamente in casi del genere non si discute mai ma farsi vedere troppo remissivi o insicuri non è altrettanto consigliabile. Bisogna essere decisi ed accomodanti così prendendola alla larga arriviamo a lasciarli una cinquantina di dollari ed una confezione d’acqua per poi allontanarci di corsa augurandogli una lunga vita di stitichezza. Sarà l’unica persona incontrata in Uganda di cui non avremo un buon ricordo.
I circa 100km che ci separano dal parco sono una specie di incubo. Con il buio è veramente difficile guidare, sopratutto per uno la cui vista non è il massimo della vita.
Come spesso accade in Africa, viene posto uno strato di tarmac lasciando ai lati uno sterrato anche abbastanza ampio. Con il tempo esso si degrada e sgretola sui bordi formando crepe, buche e gradini i quali possono essere piuttosto alti e con i bordi taglienti. I camion a cui accennavo prima, veri mostri semoventi, o procedono a velocità minime o sono lanciati in maniera folle occupando il centro della carreggiata. Forti della loro mole e della prima regola di guida ugandese: il veicolo più grosso ha sempre ragione, quando ti incrociano, per ribadire la loro precedenza ti piantano tutti gli abbaglianti negli occhi, il significato è chiaro: spostati o muori. Non li abbassano finché non sono passati. Completamente accecati, bisogna spostarsi di lato, cercando di non finire in un buco, in un fosso, di non tagliare le gomme sugli spigoli del tarmac, di non ribaltare o schiantarsi contro un albero, contemporaneamente non investire la marea di gente che si muove a piedi lungo questa via nell’oscurità completa, carica di ogni sorta di masserizie, incluse lastre di vetro tenute di traverso, giuro, viste, alberi interi, balle di fieno ecc. A tutto ciò si aggiungono normalità come le biciclette, le quali improvvisamente attraversano raso nel buio più totale, le moto che zigzagano, i carretti, i muli, le mandrie, tutti spesso in contromano. In questi frangenti ringrazio il mio “navigatore” ed i suoi 10 decimi. E’ un susseguirsi di richiami, albero a destra, moto, bici, carretto... occhio! Pedone in mezzo alla strada... ma almeno sorridi!
Arriviamo al ZIWA RHINO SANCTUARY dopo un viaggio interminabile, tardissimo, sani e salvi e, spero, senza aver ammazzato nessuno, tribolando anche un po’ per trovare la stradina d’accesso al gate e suscitando la sorpresa dei rangers, i quali, molto carini, non ci fanno pesare nemmeno il fatto di averli tirati giù dal letto. Ricaccio finalmente gli occhi nelle orbite e mi rilasso. Optiamo per le bandas del parco 80,00 Usd, una follia, ne pago 40,00, oggi non è giornata, non ho voglia di tirare fuori la tenda ma meno ancora di permettere a qualcuno d’approfittarsi della situazione. http://www.ziwarhino.com/ - http://www.rhinofund.org.
Questo piccolo parco è stato istituito per reintrodurre i rinoceronti in Uganda, una volta numerosi ed ora totalmente scomparsi. L’ultimo esemplare fu abbattuto nel ‘78 dai soldati di Amin ai quali, invece della paga, era stato permesso di cacciarli e venderne i corni.
La particolarità della visita consiste nel fatto che la stessa si svolge a piedi, cosa non molto usuale.
I rinoceronti provengono da vari zoo riabilitati alla vita selvatica e da capi bradi importati dal Sud Africa. Il progetto sta avendo un ottimo successo, coronato dalla nascita di diversi cuccioli.
La mattina dopo indugiamo a letto, la tranquillità del luogo stimola un po’ di relax, ormai siamo allo svacco totale. Carichiamo in seguito un ranger e dopo un breve tragitto in macchina ci incamminiamo nel bush. In circa 10 minuti raggiungiamo una radura dove due rhino dormono tranquilli.
Li osserviamo un po’, ci giriamo attorno ma quelli al massimo muovono le orecchie, fa comunque un certo effetto trovarsi al loro cospetto a piedi, ci si avvicina fino ad una 50ina di metri dopo di che il ranger dice stop.
A dire il vero il tutto non ci entusiasma, il paesaggio è mediocre ed averli trovati in piena siesta non ha permesso di goderseli appieno. Devo però rimarcare l’impegno, anche economico e gli sforzi profusi per la salvaguardia di questi magnifici animali. Essi sono monitorati e difesi dai bracconieri 24 ore al giorno da almeno due ranger armati, 365 giorni all’anno. L’ingresso è gratuito, la visita costa 75,00 Usd a testa, spesi bene. Accettano volontari.

Riprendiamo la strada per Jinja, nostra ultima tappa. Optiamo per passare da Kampala pensando fosse più veloce invece, da prima della capitale fino all’arrivo, veniamo inglobati da un traffico mostruoso e giungiamo a destinazione a pomeriggio inoltrato con circa quattro ore abbondanti di viaggio per 250 km. Raggiungiamo il Nile River Camp, situato in bella posizione sul nuovo lago. Eh sì, le famose cascate non esistono più, sacrificate allo sviluppo, sono sparite a causa della diga costruita sul Nilo per produrre energia elettrica.
Ci sistemiamo nei dormitory, sorta di bungalow a schiera di legno, spartani ma confortevoli, al costo di 10 Usd. Il campeggio ne costa 5,00. Tutto gratis se si effettua il rafting. Il posto è carino, rilassante con un bel bar e barbecue a disposizione, lo sfrutteremo appieno dando fondo a tutte le nostre risorse in un ultima lauta cena. http://www.camponthenile.com/
Nonostante non sia prestissimo facciamo una bella camminata in zona, fra sparse case a graticcio lungo stradine immerse nel verde, banani, avocado e ogni sorta d’albero da frutto, l’atmosfera è decisamente equatoriale.
Per prenotare il rafting è sufficiente rivolgersi alla reception del camp, cosa fatta subito all’arrivo, siamo fortunati, con noi si forma un gruppo completo. Alla mattina, con calma, veniamo raggiunti dal camioncino della Nalubale, http://www.nalubalerafting.com/, il quale ci trasporta presso la loro sede. Qui ci riempiono di caffè, panini, banane, succhi e, sempre con molta calma, dopo il briefing partiamo con i gommoni al traino verso il fiume. 120,00 Usd a testa. Dopo l’esperienza scioccante dello Zambesi, confesso di essere stato parecchio timoroso al riguardo, pure qui ci sono due o tre rapide grado 5, ma è uno degli highlights dell’Uganda, non si può andare via senza fare questa esperienza.
I nostri compagni sono canadesi, americani ed una simpatica colombiana, si riveleranno tutti decisamente tosti e formeremo insieme un’ottima squadra. L’accompagnatore è un ragazzo sudafricano molto bravo e competente.
Come in tutti i rafting prima si eseguono due manovre in acque tranquille, tanto per capire i comandi basilari, fra i quali uno solo viene eseguito a dovere: “get down”, cioè: accucciati giù, tienti forte e spera! Siamo seguiti da un canotto di supporto e da un nugolo di kayak condotti da una serie di personaggi fuori di testa nell’accezione buona del termine.
Alla prima rapida di 5° il capo ci chiede se la vogliamo affrontare o evitare per un passaggio più facile. Il coro dei giovani è unanime: the hard one, li mortacci vostra a voi e a tutti i “brave” anglosassoni e chi li ha inventati!
Ce la caviamo benissimo, tanto che a volte il sudafricano ci fa remare indietro e ripetiamo la rapida. A metà strada sosta per il pranzo e riposino, il tutto dura 4/5 ore abbondanti.
E’ organizzato e condotto in modo molto professionale, con ottimi standard di sicurezza, mezzi recenti e di qualità. Un vero divertimento, adrenalinico ed entusiasmante. Anna è raggiante ed io mi sono veramente divertito dimenticando ogni indugio iniziale. Poi volete mettere: è il Nilo! Assolutamente imperdibile, per tutti, anche per chi non abbia, come me, molta dimestichezza con l’acqua.
Nel costo sono oltre al pranzo sono compresi tutti i beveraggi e, nel viaggio di rientro, l’ordine è: non lasciare nulla pieno, in primis la birra. Due ore sul cassone del camion con personaggi del genere in un’atmosfera d’allegria sono piuttosto ri. Eseguiamo con dedizione ed arriviamo in uno stato pietoso. In teoria dovremmo partire subito ma aspettiamo il cd con le foto, 30,00 Usd. In ogni caso non sarei stato in grado.
Ci riprendiamo al calar del sole, avremmo dovuto preparare anche i bagagli ma pazienza, lo faremo dove ci fermeremo a dormire, tanto a quest’ora non ci sarà traffico ed Entebbe è a circa due ore di viaggio. Le ultime parole famose due: a volte tornano!
Infatti la strada Jinja Kampala è un gran casino. Viaggiamo a passo d’uomo incolonnati ma il vero e proprio incubo inizia entrando nei primi suburbi della capitale. Se qualcuno volesse studiare a fondo l’Entropia è inutile che si s’affatichi con l’universo tutto, basta venga a Kampala alle 8 di sera per scoprire come il Kaos totale della moltitudine non sia altro che un ordinato flusso di unità dal movimento casuale, illogico, imprevedibile ed assolutamente indifferente a qualsiasi cosa non sia il minimo spazio libero di fronte. Appare incredibile che seppur lentamente in qualche modo si proceda, il tempo? Un concetto inutile, Einstein qui forse avrebbe venduto bibite.
So guidare in questi frangenti, c’è un solo modo: procedere a velocità moderata, non che questa sia sempre una scelta, decisi, lasciandosi inglobare senza mai fare movimenti bruschi, inaspettati, repentini. Mai fermarsi ad aspettare cose assurde quali precedenze o essere tentennanti, indecisi, vado non vado? Il sistema non lo prevede e con un effetto domino potrebbe autodistruggersi con migliaia di vittime e forse uno tsunami sul lago Vittoria. Vige una regola sola: se c’è uno spazio, esso va occupato, punto! La tangenziale, se così si vuol chiamare, ha due corsie per senso di marcia, è una fiumara di mezzi d’ogni tipo, chi li ha usa gli abbaglianti, altri nulla ma fa lo stesso, i quali tentano di sormontarsi in ogni modo. Ai lati della strada una teoria senza fine di baracche adibite alla vendita, mercati, case, negozi, concessionarie d’auto, mobilieri, fioristi, ambulanti, bar, ristoranti, caffè e qualsiasi altra cosa vi possa venire in mente. Ovviamente tutto ciò animato da una quantità di persone smisurata, le quali spesso e volentieri occupano, attraversano, percorrono, sostano sulla strada, con biciclette, carretti ed ogni mezzo di movimento possibile compresi i carrelli della spesa. Il top sono però le moto. Come vespe impazzite passano ovunque, cariche d’ogni cosa, moglie e nugolo di figli compresi. Si infilano dovunque, contromano, a raso, senza guardare, rallentare o fermarsi. Due mi passano davanti proprio quando mi affianco ad un’auto presso una rotonda e non li prendo in pieno solo per una questione di millimetri e Grazia (loro) ricevuta, se si fermano li ammazzo io con le mie mani.
Arriviamo ad Entebbe più distrutti rispetto alla Kidepo road, in circa cinque ore per 120 km, anche stavolta senza sopprimere nessuno ed è, vi assicuro, una cosa d’andarne fieri. L’unica nota positiva sono i venditori di spiedini, costano pochissimo, sono ottimi e ci permettono di non saltare la cena.
Alloggiamo alla Kidepo, e ti pareva, Guest House, a due passi dall’aereoporto. Contattati telefonicamente gentilmente ci hanno aspettato nonostante l’ora, per questi lidi, tarda. Comoda, spartana,pulita e dignitosa, 35,00 Usd. http://www.kidepoguesthouse.com.
Il giorno seguente siamo ancora provati dal viaggio della sera prima e decidiamo, per le poche ore a disposizione, di non andare al lago ma di fare i bagagli con comodo e riposarci. Ci raggiunge Moses per ritirare l’auto e ci sediamo per discutere il saldo. Quando vede la macchina si spaventa ed inizia a fare l’inventario di ciò che manca e di ciò che è rotto, chiama il concessionario e mi fa pure il preventivo. Io tiro fuori le mie ricevute e gli dico che mi sta bene tutto ma fanale e freccia non intendo pagarli. Se fossero stati fissati bene non li avrei persi, e costano una sassata. La discussione è breve, lo scrivo per rimarcarlo, l’accordo trovato è assolutamente equo e corretto e mi sconta anche la differenza di prezzo fra la Toyota e la Mazda.
Gli lasciamo tutto quello che non vogliamo o possiamo portare indietro, dalla vaschetta di plastica alla birra, e lui pare apprezzare. In effetti è proprio un bravo ragazzo.
Corsa all’aeroporto e l’avventura finisce. Devo ammettere che è stata dura e faticosa ma è stato proprio bello viverla.

Stavolta mi sono dilungato, ho ceduto alla grafomania, ma grazie ancora a voi ho voluto, intanto che i ricordi sono freschi, metterli nero su bianco per rileggerli un domani.
Un grazie a Pier per i suggerimenti, i consigli e per l’impegno nel progetto con Julius.
Ed a tutti per la pazienza e lo stimolo.

Tutte le foto: http://s20.photobucket.com/albums/b246/mononeurone/RUANDA%20UGANDA%202012/

Il tragitto su Googlemaps, se ci capite qualcosa sono ben tre pagine.
http://goo.gl/maps/vdkap

Informazioni pratiche:

NOLO AUTO ed AGENZIA: Valutati i costi di un 4wd in Kenya abbiamo preferito noleggiare direttamente in Uganda. Fra le varie proposte, non che ci fosse una vasta scelta, il self drive qui non è molto diffuso e siamo lontani dagli standard di Paesi come Namibia o Sudafrica, ho scelto questa, senza un motivo particolare, diciamo a naso. Nonostante la Toyota abbia avuto qualche problema il giudizio sull’agenzia è positivo. Mr Kizito è sempre stato disponibile, prodigo di ottimi consigli e suggerimenti precisi, molto corretto. Ci ha fatto pervenire la macchina a Fort Portal gratis, rimborsandogli giustamente solo la benzina per il viaggio di ritorno. Alla riconsegna, l’accordo sul saldo dovuto, fra danni da noi arrecati all’auto e rimborsi ruota, freccia, e saldature varie, equo e corretto. Costo per giorno Usd 80,00 la Mazda, 100,00 Usd la Toyota, ma noi abbiamo pagato la quota minore per tutte e due. L’agenzia fornisce anche pacchetti e servizi completi, guide, ecc. e mi ha dato una mano fondamentale per i gorilla tickets.
Un grazie ed un saluto anche al buon Moses, sempre gentile, servizievole e disponibile. Quindi, affidabile e consigliata, di seguito link.
email: travel@kariburwanda.com - mpagi@habariafrica.com
websites: www.kariburwanda.com, www.habariafrica.com, www.ugandarwandacarhire.com
Telephone Nos: +256.779.459.917, +44.790.863.9450,
Car hire; http://www.kariburwanda.com/directory/kampala-uganda-car-hire.html

MALARIA: E’ endemica in tutti e due i Paesi alle quote più basse. Non ci sono nugoli di zanzare ma il rischio è alto. Tutti gli operatori e cooperanti incontrati l’hanno contratta, qualcuno più volte e mi hanno confermato la serietà della situazione. Per una permanenza di 20 e più giorni abbiamo preferito fare la profilassi con il malarone e mi sento di consigliarla.

LA GUIDA: E’ innegabile, se si legge il diario, che ci sia stato qualche problema, non è comunque una cosa proibitiva o che si debba essere provetti rallysti. L’importante è essere consapevoli di cosa si fa, dove si è ed essere pronti ad affrontare qualche imprevisto. Escluso il Kidepo nella stagione delle piogge, evitabile, strade e piste non comportano particolari difficoltà. Il Paese è molto antropizzato, è impossibile perdersi in modo grave, al massimo non si sa bene dove si è. In caso di guai non si è quasi mai abbandonati. Ovviamente prudenza e due dita di testa non guastano. Una scorta d’acqua e di cibo d’emergenza deve essere sempre in auto. Il Gps non l’avevamo e non ne abbiamo sentito la mancanza, di una buona carta invece si. In Ruanda guida a destra, in Uganda a sinistra.

CLIMA: In Ruanda a Nyungwe ed ai Virunga in agosto la sera è decisamente freddino, l’umidità non aiuta. Una giacca a vento leggera ed un buon pile, oltre che felpa o camicia da usare a cipolla, sono da portare. Non si va sotto zero ma si può arrivare a 5/6 gradi. Per il resto dei due Paesi varia a seconda della quota. Il sacco di piumino è stato molto gradito.

GORILLA PERMITS: Prenotati a febbraio per il 27 luglio e presi gli ultimi due posti disponibili. Avrei preferito andare direttamente da Kigali all’arrivo in Ruanda ma non c’era altra scelta, già avevo perso i posti per il 25. Per assicurarmeli ho fatto un bonifico all’agenzia, la stessa del nolo auto e loro sono andati fisicamente ad acquistarli. Per il servizio chiedono 50 Usd che vanno ad aggiungersi al già notevole costo della visita. Viste le difficoltà e le incognite nel trattare direttamente con il booking center è stata una buona scelta e la consiglio a chi si rechi autonomamente senza comprare un pacchetto completo. Confermo che il costo ora è 750 Usd, ottobre 2012 momento dello scritto.
http://www.ugandawildlife.org/

VISTO: Se si attraversa il confine via terra è indispensabile avere il passaporto già vistato, sopratutto venendo dal Ruanda in direzione Uganda.
Per il Ruanda si fa tutto on line, si riempie un formulario e nel giro di una settimana arriva la conferma. https://www.migration.gov.rw/ Valido 30 gg.
Se si vola direttamente in Uganda il visto si può fare comodamente all’arrivo in aeroporto. 50 Usd.
Per ottenerlo in anticipo ho spedito passaporti, foto e denaro qui:
Sezione Consolare - Viale Giulio Cesare, 71 scala B int. 9a/9b - 00192 Roma
Tel. 063225220 063207232 . Fax 063203174 - Email: ugandaembassyrome@hotmail.com
In una decina di giorni lo rispediscono senza problemi.

VALUTA: I parchi accettano anche gli euro ma nel paese il dollaro è praticamente valuta corrente. Meglio portarsi quindi buona scorta di moneta yankee. Con il bancomat abbiamo avuto qualche problema, prelevando principalmente alla Barclays, dove c’era, con la Visa. Il mio bancomat, cirrus, maestro, ecc, non siamo mai riusciti ad usarlo, quello di Anna elargiva somme miserevoli.

ATTREZZATURA: Ognuno ha la sua a seconda delle proprie necessità ed abitudini, di seguito qualche nota.
Tutto è stato pressato in due sacchi Ferrino da spedizione. I vestiti ed effetti personali in due borse poste all’interno degli stessi. Durante il viaggio sacchi sotto il sedile, attrezzi sparsi per l’auto e borse su e giù a seconda del pernottamento.
Tenda: Non serve ipertecnologica ma che abbia una buona resistenza alla pioggia.
Sacchi a pelo: come detto di notte fa freddo, noi siamo stati molto contenti di aver portato quelli di piumino.
Scarponcini ed infradito o sandali bastano per tutto il viaggio, calzettoni alti da trek indispensabili. Anche del nastro da pacchi per stringere i pantaloni sulla scarpa è una ottima idea, le formiche sono veramente bastarde. Ho visto gente con le ghette!
Noi ci siamo portati le nostre solite cose per cucinare, volendo si possono comprare pentole ed utensili a costi bassi.
Razione K: Qualche liofilizzato Knorr d’emergenza è venuto buono. Sopratutto il minestrone. La polenta l’ho regalata a Moses, mi piacerebbe sapere cosa ne pensa.
Pile ricambio: Portarne una buona scorta, quelle locali non durano molto.
Ho portato un inverter per caricare tutto e l’ho trovato molto comodo.
Anche il solito foglio di plastica da imballo, quella con le bolle per capirci, ed è stata una idea furba. Da confort, protegge dalle spine sul terreno e sopratutto isola dall’umidità e dal bagnato, infine è molto gradito quando lo si regala prima di partire.
Le cinque borracce piene di Porto ed altri generi di conforto sono tornate vuote. Il vino ha costi proibitivi, dove c’è, ma sopratutto cosa c’è!
Detersivi, sale, olio, vaschetta di plastica per lavare, spugnette ecc. acquistato in loco e regalato alla partenza. In città si trova tutto quello che serve.
Anche solo per informazioni di prima mano, suggerimenti, dubbi, l’amico Julius è a disposizione. L’homestay ed i local people tour sono molto consigliati.
http://mountaingoriillacoffeetours.shutterfly.com/

Per Info scrivetemi pure a: pipot-pipot@virgilio.it

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