Melting Pot

Ovvero la Londra dei mercati, della metropolitana, dei parchi. La Londra da vivere

Ogni Londinese ha una Londra in mente, che è la Vera Londra” V. Wolfe

A raccontare Londra, fra gli altri, c’è riuscito bene un italiano, Alex Roggero, che nel suo libro "Il treno per Babylon" ha incredibilmente descritto la città non come un catalogo di viaggi ma come in realtà poi la si vive; i riferimenti o i collegamenti più o meno evidenti e volontari al libro saranno frequenti in questo strano “diario”: solo in questo modo ho la possibilità di cercare di trasmettere la "Vera Londra", quell’insieme di sensazioni, emozioni, abitudini che rendono magica anche una piccola vacanza nella “City”.Non ricordo molto degli insegnamenti della scuola media; è passato parecchio tempo da allora, ma delle poche cose rimaste nella mia mente le lezioni di inglese sono le più chiare.
Vuoi la novità (all’epoca non si faceva inglese alle elementari) della materia, vuoi la professoressa brava ed innamorata di quello che spiegava, le nozioni da lei impartite sono rimaste poi nel tempo.
Fra le regole di grammatica e la pronuncia, poi, ricordo bene e molto volentieri gli aneddoti raccontatici sulla vita in Inghilterra: dalla tipica colazione a dir poco abbondante, al fatto che guidano a sinistra e non a destra come noi, dal classico tè delle cinque del pomeriggio, alla presenza a volte scomoda ma spesso e volentieri fonte di orgoglio (chissà perché?!) della Regina e di tutta sua corte.
Sono però due gli aspetti di Londra, alla fine si parlava sempre della capitale generalizzando se necessario a tutta l’Inghilterra, che sono rimasti scolpiti nella mia mente anche a distanza si anni: i flea market, i “mercatini delle pulci” e una strana definizione, quella di “melting pot”.

Londra è una scoperta continua, un mondo a parte o, forse è meglio, una parte di mondo, un posto dove ogni cosa confluisce e si amalgama senza più la possibilità di tornare se stessa, un grande crogiolo dove razze, culture, tradizioni, idee, religioni, usanze e costumi, cibi, lingue si uniscono inscindibilmente e… convivono!
Già, perché questa è la cosa più strana: la convivenza!
Non è difficile trovare anche da noi in Italia persone di origini diverse, immigrati che si sono stabiliti nelle nostre città per cercare un lavoro e provare a costruire una vita migliore per sé e la propria famiglia; a Londra le cose però sono diverse, e lo si vede subito.
Cinesi, Arabi, Italiani, Cingalesi, Marocchini, Indiani, Brasiliani e persone provenienti da ogni altra parte del pianeta vivono fianco a fianco senza “calpestarsi i piedi”, portando avanti la loro piccola o grande attività, cercando di vivere al meglio senza venire in qualche modo disturbati dalle usanze e dalla cultura del vicino.

Questo è il melting pot, e mi ci sono voluti anni per capire davvero quella definizione di “crogiolo di razze” datami alle medie!
A Londra non esiste più l’Indiano, il Cinese o l’Arabo, non ci sono più confini ed imposizioni culturali o razziali, qui nella capitale si diventa londinesi, popolazione davvero cosmopolita che ha raccolto, integrato ed ora abitualmente usa, frammenti di mondo, in ogni forma e campo.

Un esempio di questa integrazione è il cibo.
Londra ha migliaia di locali in cui poter pranzare o cenare con piatti tipici provenienti da ogni parte del mondo; ristoranti e fast food giapponesi con il loro pesce crudo, cinesi con gli involtini primavera ed il pollo alle mandorle, marocchini con il kebab, tedeschi con wurstel e krauti, italiani con pizzerie e caffè e ancora greci, indiani, tailandesi, americani, cubani o jamaicani sono in ogni strada, dal centro alla periferia della città.
Magari in proporzione minore ognuna di queste realtà c’è anche nelle nostre grandi metropoli (penso a Milano, Roma, Napoli, Firenze o Tornino…), ma il vero “miracolo” londinese non è quello di avere tanti ristoranti diversi, ma l’apertura di quelli tradizionali alla contaminazione!
Non è raro trovare ristoranti e catene di ristoro (il Pret a Manger ad esempio) che, oltre al classico Fish & Chips o all’English Breakfast, offrono ai loro avventori anche sushi o chili con carne, insalate con frutta esotica, riso pilaf e pezzi di pollo con salse a base di curry!
Questa è Londra, non una città che ha perso la propria identità venendo in qualche modo “conquistata”, pezzo dopo pezzo, da un esercito di immigrati, ma una metropoli che ha saputo costruirne una per i suoi abitanti, vecchi e nuovi, attingendo da culture millenarie o appena nate e mescolandole fra loro.

La stessa situazione di vede nei mercati che accendono le giornate o gli week end londinesi.
Si parte dal sabato mattina con Portobello Road, il mercato londinese per eccellenza e famoso in tutto il mondo; una immensa distesa ordinata di bachi, ai lati della strada, che continua a perdita d’occhio seguendone il profilo, le curve ed espandendosi per un poco anche agli incroci nelle vie laterali.
E su queste bancarelle organizzate è in vendita il mondo.
Monili fatti di pietre e conchiglie, stoffe provenienti da chissà dove, cimeli della Seconda o della Prima Guerra, vecchie divise dell’esercito e della R.A.F., monete antiche e francobolli, telescopi e cannocchiali, cianfrusaglie varie, kimono originali giapponesi o venduti per tali, prodotti fatti a mano con lana e cachemire, “magic mushrooms“ i “funghi magici” venduti con tanto di bilancino di precisione; e ancora frutta e verdura locale ma anche esotica e nemmeno mai sentita nominare, riproduzioni di vecchie latte pubblicitarie della Coca Cola o della Guinness, muffin e donuts (presente le ciambelle di Homer Simpson? :P), giocattoli “made in china” oppure prodotti d’artigianato fatti in legno, antiquariato e modernariato.
Tutto questo fa “flea market”, il mercato delle pulci più conosciuto al mondo.

Oltre a Portobello Road c’è poi Covent Garden, il mercato al coperto, disposto su più piani, dove alle bancarelle di affiancano i negozi e gli store ufficiali (della Disney ad esempio) e dove si possono trovare anche “prodotti confezionati” come set da tè, gadget di personaggi famosi (sia cimeli che riproduzioni) o oggetti dedicati ad esempio a favole per bambini (il negozio dedicato ai racconti di Beatrix Potter e alle avventure di Peter Coniglio, ad esempio, si trova qui), stampe, sculture e fotografie panoramiche realizzate da autori che ancora non hanno un nome ma sono lì proprio per cercare di farselo.
Anche questo mercato ha il fascino, fatto più di atmosfera, canzoni intonate dal vivo da una voce in qualche angolo o musiche suonate da un terzetto d’archi in uno degli ampi pozzi che si aprono sul piano interrato, di negozi dal pavimento di legno sconnesso che ad ogni passo fa cadere pile di scatole o dal profumo dei diversi aromi di tà venduto in qualche “tea house”.

Camden Town è esattamente l’opposto.
Il terzo grande mercato di Londra, allestito solo durante gli weekend fra i canali e le barche dell’omonimo quartiere nel nord della città, spartisce con gli altri due solo la fama; questo è il mercato dei giovani o di chi si ritiene tale, è il mercato più etnico di tutti, con prodotti che arrivano da ogni parte del mondo o che magari hanno fatto pochissima strada ma sono stati concepiti seguendo ispirazioni dovute anche alla contaminazione con stili e culture arrivate chissà come da tutto il globo.
L’integrazione culturale londinese qui è evidente. Fianco a fianco si trovano locali vegetariani e steak house, ristoranti improvvisati marocchini, indiani, messicani, giapponesi, tailandesi, greci, jamaicani e cinesi; e ancora il negozio accanto a quello che vende vestiario punk con borchie, pelle nera ed anfibi dai chiodi cromati in bella mostra, è gestito da dei giamaicani “un po’ troppo pallidi per esserlo davvero” ma con gli stessi rasta in testa e la stessa musica nelle orecchie.
Qui si possono trovare i negozi dove fare tatoo e piercing in pochi minuti, insegne tridimensionali gigantesche appese ai muri delle case per richiamare l’attenzione su negozi di scarpe o di vestiario, ragazzi e ragazze provenienti da chissà dove che propongono e vendono le loro idee e le loro realizzazioni; questa è una piccola grande fucina di artisti che lasciano libero sfogo alla loro fantasia cercando di trovare “l’idea giusta”.
Colori ed odori sono la base di questo cocktail etnico, le luci e la musica creano quell’atmosfera quasi caotica ma mai confusa che rendono inspiegabile l’attrazione verso questo posto.

Un piccolo discorso a parte merita la metropolitana.
Prima di partire, e due volte dopo essere tornato a casa, ho letto il libro che prima ho citato che non riesce a rendere al cento per cento la sensazione che offre la Londra sotterranea, ma è quanto di più vicino ed emotivamente realistico si possa trovare.

“Underground”, “Metropolittana”, “The Tube”.
Chiamatela come volete, non ha importanza il nome; quello che conta è che quelle carrozze che corrono continuamente sotto la città aprono le porte di un mondo diverso!
Non è tanto la metro in sé, quella è niente più che un treno come tanti altri, sono le stazioni e molto probabilmente quello che c’è fuori da esse a rendere ogni corsa un’avventura e a fare in modo che ogni metropolitana porti alla scoperta di un pezzettino sempre diverso della “Vera Londra”.

Uscire dalla stazione di Westminster e trovarsi di fronte il Big Ben illuminato come nelle migliori cartoline o illustrazioni viste in chissà quale guida; attraversare i gates d’uscita di Camden Town per venire catapultati in mezzo a punk con tanto di creste multicolori; salire le scale di Piccadilly e scoprire davanti a sé il piccolo Eros, in equilibrio sul suo piedistallo, con i palazzi e le immense insegne pubblicitarie di Coca Cola e TDK a fare da sfondo; incamminarsi dalla Hyde Park Corner e vedere in lontananza la piazza con la pavimentazione rossa e le cancellate nere e dorate del Palazzo Reale.

Questa la Londra che ti sa sorprendere in ogni istante; anche nelle cose più banali, proprio come uscire da una stazione…

Un commento in “Melting Pot
  1. Avatar commento
    claire
    08/02/2005 15:31

    Bravi! Credo che siate davvero riusciti a rendere l'atmosfera che si respira a Londra! Io ci sono stata più volte, anche se non recentemente, e devo dire che mi avete fatto venire voglia di tornarci....Questo non è forse uno degli obiettivi più belli di un racconto di viaggio?

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