Liguria da scoprire: il Finalese e i “Ciappi”

Sulle orme dei primi Liguri, fra storia e misteriose testimonianze del loro passaggio

In undici anni di vita di Ci Sono Stato ho trattato diverse volte la zona del Finalese, sia sul sito sia sul Forum: segno evidente di una mia predilezione per quell’area, ricca come poche altre di eminenze naturali, geologiche, storiche e antropologiche.
Riporto quanto scrissi nell’ormai decennale mio primo articolo:
Un turista che, per la prima volta in visita nella Riviera Ligure di Ponente, fosse bendato e paracadutato nel cuore dell'altopiano di Finale Ligure, potrebbe rimanere sconcertato nell'apprendere che quel calcare abbagliante che lo circonda non fa parte di uno scenario dolomitico: non tarderebbe invece ad accorgersi che la spiaggia sulla quale fino a poco prima stava crogiolandosi al sole dista in linea d'aria pochi chilometri.
La roccia che costituisce l'altopiano ha una sua spiccata individualità ed è ben nota ai geologi appunto come "pietra di (o del) Finale". Su una base di calcari dolomitici misti a scisti cristallini si sovrapposero, nel corso delle ere geologiche, calcari miocenici ricchi di resti fossili. Lungo le linee di contatto dei vari strati si produssero fessurazioni che, unite alla permeabilità del terreno, determinarono un diffuso carsismo sotterraneo, testimoniato dalle oltre cento grotte presenti nel Finalese, dialettalmente note come "arme".

Oltre che per la speleologia, l’altopiano di Finale è frequentato per le vie di arrampicata che richiamano appassionati da tutta Europa e per la fitta rete di sentieri escursionistici: la quota modesta - mai superiore ai 400 metri - e il clima particolarmente mite favoriscono tutte le attività in ogni stagione dell’anno.

Itinerario

L’itinerario che qui descrivo ha come principale attrazione quella dei cosiddetti “Ciappi” (dialettalmente il termine “ciappo” definisce una lastra in pietra più o meno grande, ma in generale anche ogni superficie piatta): si tratta di un anello di circa 5 ore a passo tranquillo con base Calvisio alta, toccando i Ciappi, Monte Cucco e passando al ritorno per la Casa del Vacché e Lacrema'.
Dall’uscita autostradale di Finale Ligure si seguono le indicazioni per Calvisio, un piccolo borgo di fondovalle affacciato sul torrente Fiumara. Una stradina denominata Via Bedina consente di guadagnare un centinaio di metri di quota raggiungendo il piazzale della Chiesa di San Cipriano.
Prima di intraprendere l’escursione, è meritoria la visita del luogo di culto: originaria del XII secolo, San Cipriano ha un interno rimaneggiato in stile barocco, da lungo tempo in restauro, ma ha la maggiore eminenza nel campanile puramente romanico caratterizzato da quattro livelli di bifore, uno dei più interessanti nell'area del Finale.
Il sentiero, che parte subito dietro la chiesa, è contrassegnato da un trattino rosso e bastano pochi minuti per penetrare in una vera e propria essenza di Liguria montaliana. Si risale una valle in ombra di profonda suggestione lungo numerosi tornanti di pendenza moderata, delimitati da secolari muretti a secco - in certi tratti alti fino a un paio di metri - che trasudano delle fatiche e della pazienza di generazioni contadine. La lunga incuria fa sì che essi vengano progressivamente avviluppati da tronchi e radici in un abbraccio mortale: un po' come i templi di Angkor in Cambogia, un esempio di come la Natura si reimpossessi, stritolandola, dell'opera dell'Uomo. Come dicevano i Latini, "Tempus edax rerum": il Tempo divoratore delle cose.
Lungo il percorso si incontrano diverse cavità, più o meno grandi, che nel corso della Storia furono prima rifugio dell'Orso Speleo e poi sede della prima occupazione umana. In una delle più piccole è ospitato un minuscolo presepio permanente.
Si sbuca dal fitto bosco intorno a quota 300 poco dopo i ruderi di Ca' Cerisola e ci immette nel sentiero segnalato da un quadrato rosso diretto all'area dei "Ciappi": più limitato è quello dei Ceci (probabile deformazione di "erxi" - x pronunciata come la j francese - nel senso di lecci), ben più ampio, ricco e significativo quello delle Conche, una mezzora di cammino più a nord.
Il Ciappo delle Conche è una vasta superficie rocciosa leggermente inclinata di calcare poroso, circondato da arbusti di macchia mediterranea, sul quale si trovano interessanti incisioni rupestri tra cui numerose coppelle, cioè piccoli incavi circolari.
Sui Ciappi esistono diverse interpretazioni. Un’ipotesi è che coppelle, canalette e vasche potessero avere in origine anche una funzione finalizzata a rituali religiosi.
I canaletti che collegano le vasche sono lunghi parecchi metri e seguono un andamento sinuoso. Quando piove l’acqua si raccoglie in breve nelle vasche e vi rimane per diversi giorni: nelle vicinanze non esistevano sorgenti, per cui furono sicuramente destinate ad abbeverare gli armenti condotti al pascolo e al tempo stesso attirare e cacciare gli animali selvatici.
Si può supporre che entrambi i tipi di opera siano contemporanei e che gli ignoti scalpellini, contestualmente alle canalette, abbiano inciso a scopo rituale le decorazioni in un luogo di importanza vitale, secondo le credenze del tempo probabilmente anche ritenuto magico, quale poteva essere un punto di raccolta dell'acqua.
Secondo alcuni studiosi, le incisioni sarebbero relativamente recenti, mentre il geologo Arturo Issel (Genova, 1842-1922) le considerò antiche quando furono scoperte nella seconda metà dell’800. L’incisione più evidente sembra rappresentare un lungo trenino, con locomotiva e vagoncini completi di finestrini: sta di fatto però che all’epoca del rinvenimento non esisteva in Liguria una linea ferroviaria. Un’altra sembrerebbe la raffigurazione di una barca a vela, una terza fa pensare ad un fiore; non mancano croci e figure umane stilizzate. Vi sono poi scritte in maiuscolo, una frase di carattere religioso e la data del 1790.
Un'ulteriore ipotesi è che le incisioni fossero semplicemente rappresentazioni di soggetti vari secondo l'ispirazione del momento, realizzate per passatempo da pastori e mandriani mentre sorvegliavano il bestiame al pascolo.
Dal Ciappo delle Conche individuiamo - con una certa fatica, trovandosi su una placca seminascosta fra i cespugli - il segnavia "tre bollini rossi" che in pochi minuti conduce alla cima di Monte Cucco (m.397), emergente da una compatta vegetazione di lecci contorti: prestando un minimo di attenzione alla verticalità assoluta che precipita dal versante ovest (un’ambita palestra per gli arrampicatori), si ammira un panorama estesissimo, favorito da una splendida giornata di sole che - come premesso - anche in pieno novembre è più una regola che un’eccezione.
Di ritorno da Monte Cucco, vale la pena una breve deviazione ad est del Ciappo delle Conche: in un paio di minuti si raggiunge un caratteristico riparo sotto la roccia definito "Arma dei buoi", con la curiosità di alcuni sedili scavati sulla parete di fondo.
La via del ritorno coincide con quella dell'andata fino al Ciappo dei Ceci, poco oltre il quale svoltiamo a sinistra sul segnavia rombo rosso pieno.
In breve ci troviamo in uno dei luoghi più sorprendenti dell'itinerario, la Casa del Vacché: in un'area ricca di cavità a suo tempo adibite a rudimentali abitazioni, essa fu edificata sfruttando una di quelle più ampie, otturandone il fronte con un muro in pietre a secco e limitando l'ingresso a due aperture rettangolari a mo' di porta che immettevano in due vani separati, evidentemente ad uso delle persone e degli animali. Questa valletta, un tempo destinata a coltivi di cereali e alberi da frutto nonché a pascolo (è evidente che il dialettale “Vacché” fa riferimento ai bovini, probabilmente nel senso di “vaccaro”), denota oggi uno stato di abbandono che crea un'atmosfera al contempo malinconica e fiabesca.
Si aggirano ora le pendici del Bric Reseghe con un ampio percorso ad arco su un sentierino pianeggiante in sottobosco avendo sempre sulla destra la parete rocciosa ricca di cavità più o meno evidenti fino sbucare infine dalla vegetazione arborea in vista di Lacrema', una sorta di villaggio fantasma di case addossate che ricordano un presepio. Noto anche come Calvisio Vecchia, è un nucleo abitativo reduce da un lungo abbandono e in via di progressivo recupero nel rispetto dell'edificato originario. Il nome Lacrema', evidente traduzione dialettale di "lacrimare", è probabilmente riferito alla distruzione del villaggio in seguito a un incendio.
E' già ben visibile il campanile di San Cipriano, che raggiungiamo in pochi minuti e ai piedi del quale ritroviamo le auto.

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